Scozzesi sbruffoni
“It is never difficult to distinguish between a Scotsman with a grievance and a ray of sunshine”, scrisse negli anni Trenta quel genio dell’umorismo leggero inglese, l’ineffabile P. G. Wodehouse. Distinguere fra uno scozzese che fa rivendicazioni e un raggio di sole non è mai stato tanto facile come negli ultimi mesi.
Londra. “It is never difficult to distinguish between a Scotsman with a grievance and a ray of sunshine”, scrisse negli anni Trenta quel genio dell’umorismo leggero inglese, l’ineffabile P. G. Wodehouse. Distinguere fra uno scozzese che fa rivendicazioni e un raggio di sole non è mai stato tanto facile come negli ultimi mesi, verso la fine dell’interminabile campagna referendaria per la secessione della Caledonia. Toccava un tasto doppiamente delicato, Wodehouse (lo scrittore preferito dell’anglo-scozzese Tony Blair e di molti altri vip), non solo perché diceva una sacrosanta verità, ma anche perché è considerato quasi un tabù per un inglese sfottere uno scozzese (mentre il contrario è considerato lecito): gli scozzesi sanno essere pesanti e morbosi con le loro cose, ma anche terribilmente permalosi, soprattutto verso i “Sassenach” (nomignolo non proprio complimentoso usato per gli inglesi). Durante i campionati dei vari sport si è sempre notato che, mentre gli inglesi tifano sempre per i cugini celtici (quando la squadra dei “Three Lions” era già eliminata), il contrario non si verifica mai: vale la regola “Abe”, “Anyone But England”, tutti tranne gli inglesi. Quando l’anno scorso a Wimbledon il talentuoso (e assai scorbutico) giovane tennista scozzese Andy Murray si è avvolto nell’Union Jack – la bandiera britannica – invece che nella croce di Sant’Andrea (quella scozzese), le lamentele di una parte importante dei tifosi scozzesi hanno ampiamente superato la gioia per la storica vittoria. Ma guai se a commentare questa ondata di meschinità collettiva è un inglese.
Durante la campagna elettorale, i secessionisti (capitanati e spronati dal furbo e bugiardo leader scozzese Alex Salmond) si sono distinti per le scene di intolleranza nei confronti di chiunque non fosse “in linea”: i tanti cittadini scozzesi unionisti (guidati dal poco carismatico ma correttissimo ex cancelliere dello Scacchiere Alistair Darling) si sono sentiti assediati dalle minacce – verbali e fisiche – così come gli inviati dei media londinesi, assediati come nei teatri di guerra.
Reo di aver interrogato il leader secessionista Alex Salmond qualche sera fa con troppa insistenza al telegiornale, il principale corrispondente politico della Bbc, il compìto ed equilibrato Nick Robinson, è diventato oggetto di una massiccia, e furente, manifestazione fuori dalla sede della tv a Edimburgo. Piccolo dettaglio: per una parte del Regno Unito che rappresenta soltanto l’8 per cento della popolazione, le voci e i volti scozzesi sono “over represented” nelle trasmissioni, così come è stato a Westminster, sotto i governi laburisti di Tony Blair e di Gordon Brown. Tanto che Jeremy Paxman, il veterano anchorman di Bbc Newsnight (ammiraglia dell’approfondimento serale), si lamentava sempre dello “Scottish Raj”, il direttorio scozzese, mutuato dall’antico controllo imperiale britannico in India, il “British Raj”.
[**Video_box_2**]Ora siamo passati a una specie di “Scottish Caliphate” – un regime governato dagli umori della piazza rabbiosa, tale che nessun sostenitore dell’Unione osa mettere un manifesto per la campagna “No, Thanks” sulla finestra, altrimenti è certo che arriverà un mattone a spaccare il vetro, come ammonimento. Negli ultimi mesi si è creata un’atmosfera da Guerra fredda, che difficilmente si ricomporrà nel breve termine, qualunque sia il risultato del referendum di oggi. Ma le scene minacciose si sono verificate quasi unicamente da parte degli indipendentisti, forse due milioni sui 4,2 milioni degli aventi diritto al voto, su una popolazione globale di 5,6 milioni, la decima parte della massa demografica propriamente inglese.
Non che ci siano due distinti popoli etnici: un buon terzo dei 57 milioni di abitanti dell’Inghilterra ha una parte di sangue scozzese, compreso chi scrive. Ogni tanto mia nonna, fiera suffragetta, membro fondatrice del Partito laburista, militante vegetariana e atea estremista (scelta radicale per la moglie di un sacerdote), richiamava le glorie perdute nelle Lowlands della Scozia, ma nemmeno una presuntuosa come lei avrebbe mai sognato di spaccare in due la più riuscita fusione dinastica, politica, militare ed economica del Secondo millennio dopo Cristo.
Quasi all’unisono gli scozzesi che abitano in Inghilterra guardano con orrore le folli gesta velleitarie dei loro concittadini a Glasgow, Edimburgo, Perth e Aberdeen. Sono ancora di più gli inglesi stanchi della terribile rottura di scatole di questi ultimi mesi che vorrebbero lasciare i secessionisti al loro gioco, e chiudere la frontiera al Vallo di Adriano per sempre, pur di avere un po’ di pace: basta con questi Braveheart di mezza tacca.
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