Susanna Camusso e Maurizio Landini (foto LaPresse)

“Compagni, avanti verso il Medioevo”, riecco il circo massimo sindacale

Salvatore Merlo

E’ come se il famoso ossimoro italiano inventato da Enrico Berlinguer, il partito di lotta e di governo, si fosse finalmente scomposto in due poli autonomi. Da un lato, nella sinistra, c’è  il conservatorismo di piazza della Cgil e dall’altro c’è il riformismo governativo di Renzi.

Roma. E’ come se il famoso ossimoro italiano inventato da Enrico Berlinguer, il partito di lotta e di governo, si fosse finalmente scomposto in due poli autonomi. Da un lato, nella sinistra, c’è infatti il conservatorismo di piazza della Cgil, quello di Susanna Camusso e di Maurizio Landini, e dall’altro c’è il riformismo governativo di Renzi, anche se il suo Jobs Act è ancora poco più d’una suggestione, un tuìt, un titolo di giornale, un mezzo decreto, una vaga ma emozionante eco blairiana.

 

[**Video_box_2**]Dice Landini, capo della Fiom: “Accettare il ricatto della Banca centrale europea e cancellare l’articolo 18 è inaccettabile. Lo sciopero generale è un’ipotesi di cui discutere”. Ieri a Roma si è tenuto il direttivo della Cgil, e anche Susanna Camusso ha promesso sfracelli. A quasi vent’anni dalle barricate di Sergio Cofferati, dalle battaglie in difesa dell’articolo 18, dagli scioperi e dai fischi del circo massimo sindacale, la storia un po’ si ripete, forse, anche se tutto, a tanti anni di distanza, suona inevitabilmente un po’ fasullo, stiracchiato come i remake cinematografici. “Compagni, avanti verso il Medioevo”, si scherzava un tempo, “avanti verso nuove gloriose sconfitte”. E dunque Landini allude allo sciopero generale contro una legge che tuttavia ancora non esiste (c’è un emendamento presentato in commissione Lavoro), e la signora Camusso, segretario confederale della Cgil, annuncia una controproposta polemica del sindacato, sfida il governo con una controlegge (che ancora non esiste) sul lavoro. S’ode così un minaccioso rullio di tamburelli rosso sindacali. Ma ancora non ben decifrabile, tonante e contemporaneamente incerto, come il passo della politica.

 

Nel direttivo della Cgil, ieri, si sono alternati toni aspri a modulazioni di maggiore cautela, con il contrappunto tagliente di Landini che, spifferano alcuni amici della signora Camusso, un po’ ammicca al presidente del Consiglio Matteo Renzi (in privato) e un po’ si mette alla sinistra della Cgil (in televisione) sognando forse l’orizzonte lontano delle elezioni all’interno del sindacato per la scelta del prossimo segretario confederale. Landini contro Camusso? Chissà. C’è tempo, molto tempo (e la battaglia è durissima, quasi impossibile: a maggio Camusso è stata rieletta con circa l’80 per cento dei suffragi).

 

Per adesso Landini, sindacalista con la felpa (in tivù) e con la canottiera (in fabbrica), senza scorta e senza auto blu, lui che, ben imitato da Crozza, parla in modo semplice e disinvolto, è la faccia larga che rassicura i disperati speranzosi, i giovani radicali in cerca di riti epocali, “siamo pronti allo sciopero generale in difesa dell’articolo 18 e dei diritti acquisiti”, dice. L’effetto involontario è quello di una parodia stracca delle vincenti “cofferate” degli anni Novanta, quella lunga tradizione vittoriosa di battaglie d’arresto contro ogni tentativo di riforma del mercato del lavoro. Ma è possibile l’eterno ritorno dell’uguale?

 

L’unica novità, l’unico attore che non rispetta il vecchio copione è Matteo Renzi, il capo della sinistra pronto a fare politiche di destra, il ragazzino dai modi bruschi che dice di voler estendere la rottamazione anche al mondo sindacale, lui che fa intravvedere l’infinito squarcio prospettico che sembra separare la nuova sinistra al governo dalla vecchia sinistra arroccata nel sindacato e sconfitta nel partito: “Dopo i mille giorni il mercato del lavoro non sarà lo stesso”. E insomma Landini e Renzi, Renzi e la Cgil, il riformismo di governo e la conservazione di piazza. Questo ossimoro scomposto è la novità dell’anno, ma è pure il ritorno a una vecchia banalità inevitabile incarnata dallo scontro tra Sergio Cofferati e Massimo D’Alema, un’èra geologica fa. E d’altra parte il dubbio, il timore di apparire dinosauri tra le figurine della modernità, attraversa anche il sindacato, pur tra anacoluti e ridondanze. E se Landini per ora indossa la maschera di Cofferati, nella Cgil suggeriscono che il capo della Fiom sia sufficientemente cinico e attrezzato per giocare invece una partita diversa e insidiare la fortezza Camusso.

  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.