Il “no” generico e infondato dell'Italia agli Ogm è insostenibile
Il recente intervento sul Foglio del ministro dell’Agricoltura, Maurizio Martina, su Expo e Organismi geneticamente modificati (Ogm) è rispettabile per la “politeness” ma la sua difesa della linea anti Ogm rivela mancanza di argomentazioni a sostegno della tesi proibizionista.
Al direttore - Il recente intervento sul Foglio del ministro dell’Agricoltura, Maurizio Martina, su Expo e Organismi geneticamente modificati (Ogm) è rispettabile per la “politeness” ma la sua difesa della linea anti Ogm, senza sopracciò, come lei dice, rivela mancanza di argomentazioni a sostegno della tesi proibizionista. Il ministro e lo staff di esperti che lo affiancano sanno benissimo che piante Ogm da oltre vent’anni sono coltivate in molte parti del mondo. Nel 2012 la superficie globale di coltivazioni Ogm era di 170 milioni di ettari nei 28 diversi paesi del mondo che dal 1994 hanno adottato questa tecnologia.
Complessivamente l’adozione degli Ogm è stata associata a una riduzione del 18,3 per cento della tossicità ambientale nelle aree coltivate e una riduzione dell’8,9 per cento dell’uso di pesticidi ed erbicidi. Il beneficio anche economico per i produttori è esemplificato da una ricerca pubblicata nel 2012 sulla rivista dell’Accademia delle scienze degli Stati Uniti relativamente alla introduzione, in India, del cotone transegnico Bt, resistente ai parassiti. Lo studio dimostra che nel periodo considerato, 2002-2008, la produzione del cotone è aumentata del 24 per cento a seguito della riduzione del danno da parassiti con un aumento del 50 per cento del profitto per i piccoli proprietari.
[**Video_box_2**]Per quanto riguarda l’impatto sulla salute, non esiste alcun fondamento teorico a sostegno della possibile tossicità delle piante Ogm. Già nel 2008 un gruppo di esperti dell’Autorità europea per la sicurezza degli alimenti (Efsa), composto da oltre 20 scienziati di diverse nazioni con competenze nei campi dell’agronomia, tossicologia, ambiente, valutazione del rischio, microbiologia ecc., concludeva che gli studi su animali alimentati con cibi transgenici non dimostravano effetti clinici o anomalie istopatologiche e che il loro valore nutrizionale era paragonabile ai corrispondenti alimenti non Ogm. Nessun prodotto alimentare e nessun farmaco (per rimanere in un settore in cui la sperimentazione è estesa e rigorosa) è stato testato su così larga scala come gli Ogm, in tutti i continenti. Ad ora non esiste studio attendibile che abbia dimostrato effetti avversi di questi prodotti su uomo, ambiente e animali. Protezione della biodiversità, molti sostengono. Asserzione totalmente priva di senso per il fatto che nell’ambiente non sono presenti piante autoctone non Ogm che possano essere modificate dalle corrispondenti varietà transgeniche. Una nota triste, invece, riguarda la ricerca nel campo delle biotecnologie agrarie. In assenza di sperimentazione, vietata per gli Ogm, non può esistere ricerca e nessun progetto che preveda studi sugli Ogm verrebbe finanziato nel nostro paese. Il gap tecnologico in questo campo, rispetto ad altri paesi anche meno sviluppati, aumenterà, un po’ come è accaduto per il nucleare dopo il divieto alla realizzazione di centrali. Le ricadute anche dal punto di vista economico sono facilmente immaginabili.
Vorrei concludere con le parole di Norman E. Borlaug, premio Nobel per la Pace per la sua opera nel campo delle ricerche in agricoltura e l’applicazione di tecniche classiche di ibridazione alla prevenzione della fame nel mondo e fondatore del World Food Prize, una sorta di premio Nobel per l’alimentazione e l’agricoltura. In un articolo intitolato “Ending World Hunger. The promise of biotechnology and the threat of antiscience zealotry” (Porre fine alla fame nel mondo. La promessa della biotecnologia e la minaccia del fanatismo antiscientifico), pubblicato sulla prestigiosa rivista Plant Physiology, Borlaug nel 2000 affermava: “La modificazione genetica delle piante non è una sorta di stregoneria. Piuttosto è il progressivo imbrigliamento delle forze della natura a beneficio dell’alimentazione della razza umana. L’ingegneria genetica non è il sostituto delle tecniche di incrocio convenzionale ma una tecnica complementare attraverso cui geni ‘utili’ derivanti da gruppi tassonomici diversi possono essere trasferiti in maniera precisa e rapida per ottenere raccolti di più elevata qualità e quantità. A oggi non esiste dimostrazione scientifica credibile che suggerisca che i prodotti transgenici siano dannosi per la salute dell’uomo e dell’ambiente”.
Recentemente il World Food Prize è stato assegnato a tre biotecnologi con questa motivazione: “Aver contribuito alla nascita di un nuovo termine, biotecnologia agraria, e preparato il terreno per colture ingegnerizzate con caratteri nuovi che hanno aumentato le rese e conferito resistenza a insetti e malattie, così come tolleranza a condizioni ambientali avverse. Il loro lavoro ha reso possibile, per gli agricoltori di 30 paesi, il miglioramento delle rese agricole, l’incremento del reddito e la capacità di nutrire una popolazione mondiale in crescita”. A fronte di tutto ciò, il ministro Martina dovrebbe spiegare, non in maniera generica, le ragioni dell’opposizione alla libertà di ricerca e di innovazione nell’agricoltura.
Pietro Dri è Ordinario di Patologia generale all’Università di Trieste
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