Una modesta proposta (pastorale)
Volete l’eucarestia? Volete educare i figli a Dio, amare il vostro secondo marito? Se è volontà autentica, ho la soluzione. Sessione penitenziale e castità: il matrimonio in coscienza e pratica è finito.
Io una “modesta proposta” ce l’avrei. Siccome Francesco mi piace, sebbene piaccia troppo a quelli che non mi piacciono, e vogliono un cristianesimo privo della benché minima conseguenza di vita e di pensiero, gliela passo con deferenza. La mia proposta piccolo-swiftiana risolve i seguenti problemi, a fil di logica e di spirito: non introduce il divorzio sacramentale nella chiesa (ciò che perfino il nostro amico cardinale Kasper ha escluso), consente – salva la dottrina e salva la parola evangelica – di disciplinare in modo ragionevole e cristiano il fenomeno moderno, indotto dal mondo secolare desiderante, della dissoluzione della famiglia e dei numerosi fallimenti del matrimonio cristiano, inoltre è un viatico anche per il governo pastorale di altri tipi di unione, per esempio quelle monosessuali. Il Cretino Teologico Collettivo dirà che si tratta di una proposta sessuofobica, e sia pure: il sesso mette paura, se scatenato e istituzionalizzato nei sacramenti, invece che praticato come trasgressione peccaminosa e confessato a un prete (sempre che si stia parlando di credenti o fedeli della santa madre chiesa). Sono sessuofobo.
Ecco la proposta, a partire dalle sue premesse. Premessa prima. Se ti sposi e fai l’amore e fai dei figli, confidando nella loro gioiosa attesa più che nella provetta del dottor Faust, sei in perfetta comunione con la chiesa, e la teologia del corpo e del matrimonio di s. Giovanni Paolo II, oltre che il resto della sana dottrina, ti consente di fare l’amore in senso procreativo e unitivo, mentre educhi alla fede la prole e cerchi di essere un buon cristiano e magari un buon cittadino, con gradi di ascesi differenti da uomo a uomo, da donna a donna. Nessun problema, dunque. Premessa seconda. Se il tuo matrimonio fallisce, ché anche la benedizione del cielo questo nel secolo impedire non può, allora ti separi e aggiusti nel miglior modo possibile la questione dei figli, se ci siano. La chiesa non è contro la separazione nei casi di fallimento matrimoniale, anzi, la incoraggia. Nessun problema per il sacramento, viatico di salvezza e testimone alla misericordia e alla giustizia divine. Premessa terza. Se ti innamori, hai bisogno di rifarti una famiglia, bisogno anche spirituale, e magari fai dei figli nella nuova coppia registrata dal sindaco, allora io ti consolo, ti edifico, ti proteggo spiritualmente e ti amo, ma l’ostia consacrata te la puoi pure sognare, con ardente desiderio e passione, ma non l’avrai. In nessun caso. Lo vietano il Signore e la Tradizione fissata dalla sua chiesa terrena, teandrica, cioè che ha un piede in terra e uno in cielo.
A meno che. Tutto il sinodo straordinario di questo ottobre e quello ordinario, fino (tra un anno e passa) all’esortazione apostolica di Francesco che deve fare da culmine alla discussione episcopale, quando Roma locuta, e non c’è più altro da aggiungere, la questione disputata è risolta per sempre, tutto si gioca su questo “a meno che”. Il tuo pastore indice una sessione penitenziale straordinaria per te e per il nuovo compagno di vita matrimoniale che ti sei scelto/a, fissando l’unione sacrilega con rito civile. Al termine della sessione, dopo audizioni con il vescovo diocesano, si stabilisce, in coscienza e pena il fulmine della giustizia sul peccato contro lo spirito e il sacramento della penitenza, che il matrimonio è cessato in quanto matrimonio. Si educano i figli. Si convive senza dare scandalo. Si è radicalmente casti. Quello che fu un matrimonio in peccato mortale diventa, per dirla con il cardinale Kasper, una piccola “chiesa domestica”. Un luogo di socializzazione in cui l’amore, se è amore illuminato dalla fede e dal bisogno della gratuita ma non innocua misericordia di Dio, si manifesta come pudore, come rinuncia carnale, come altare e pratica di socialità finché morte non ne separi.
[**Video_box_2**]La sessione penitenziale, se cosa seria, se vigente e cogente per la coscienza credente, se ripetuta ogni anno, ha credo la virtù sacramentale necessaria a disporre del sacramento dell’eucarestia in modo eccezionalmente non conforme al dettato dottrinale ed evangelico. Se il secondo matrimonio (un divorzio civile non sanerebbe nulla, si tratta di carte di Cesare, e qui è a Dio al suo figlio incarnato e allo spirito santo che si pensa e si ubbidisce). Un annullamento del primo è ipocrisia canonistica. Voi direte: ma che te ne frega se la gente fa l’amore, che è anche una bellissima cosa? A me, personalmente, quasi niente, sebbene castità e continenza possano essere anche virtù ascetiche laiche. Ma alla chiesa importa, se è stata scritta la Genesi, se è vissuto Agostino dopo Paolo, ed è stata scritta la Città di Dio, se il Vaticano II ha inverato piuttosto che cancellare il Concilio sacro di Trento, compiendo tutti gli altri concili prima di esso.
Il sesso, per dirla con linguaggio scurrile, ché preferisco amore e piacere carnale, è strumento poderoso di vita e di coesione se e quando sia illuminato dalla fede, dalla fiducia nell’altro, dall’amore dei pargoli, da un principio del piacere che è anche principio di conoscenza (l’albero nel giardino edenico, la mela, il pasto di Eva, la caduta e la foglia di fico laddove c’erano nudità e unione non carnale). Del sesso siamo figli in stato di peccato. Salvo Gesù e sua Madre. Ma nella chiesa si deve esserne padroni, anche. Se no, che ci sta a fare la chiesa?
Affido deferente alla riflessione di chiunque, e di padre Francesco in particolare, queste parole pastorali insane ma umanamente e laicamente molto sentite. Ricordo che fui battezzato e che sono monogamo. E attesto che, sebbene i gesuiti siano pronti a una trasformazione dottrinale come conseguenza dell’innovazione pastorale, il loro potere non arriva a tanto. C’è una soluzione che richiama uomini e donne, e forse anche maschi e maschi e femmine con femmine, a una prassi matrimoniale ecclesiale fondata sulla fede e non sulla pretesa di piegare i sacramenti al desiderio umano.
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