La “modesta proposta pastorale” tra castità e romanticismo. Le idee
Ora, le cose vanno così. Mentre ieri, al piano alto, il direttore di questo giornale stava mettendo a punto la sua “modesta proposta pastorale” per risolvere il problema forse irrisolvibile del dare o no l’eucaristia ai divorziati che si sono risposati, al piano basso il vicedirettore scrivente stava ribaltando la questione, appoggiandosi a un vecchio romanzo di Böll e alla misericordia di Gesù (e di Papa Francesco) per la Maddalena: è nata prima la comunione o la richiesta di cambiare vita?
Ora, le cose vanno così. Mentre ieri, al piano alto, il direttore di questo giornale stava mettendo a punto la sua “modesta proposta pastorale” per risolvere il problema forse irrisolvibile del dare o no l’eucaristia ai divorziati che si sono risposati, al piano basso il vicedirettore scrivente stava ribaltando la questione, appoggiandosi a un vecchio romanzo di Böll e alla misericordia di Gesù (e di Papa Francesco) per la Maddalena: è nata prima la comunione o la richiesta di cambiare vita? E se le vedute sono così diverse nella piccola chiesa domestica del Foglio, perché mai le divisioni non dovrebbero essere anche più aspre nella chiesa universale, che ormai sul tema litiga apertamente e di brutto?
Il nocciolo della questione, che non è vero esaurisca tutto il senso del Sinodo sulla famiglia, ma senz’altro né sarà la nota tonale, sono com’è noto i divorziati risposati. Come possono accedere a un sacramento, avendone infranto un altro? Si deve preservare a tutti i costi la dottrina per non indurre i fedeli a cedere allo spirito del secolo, che non pago di aver svalutato l’indissolubilità impone ora il dogma della piena reversibilità delle scelte di vita? Oppure venire incontro, pastoralmente si dice, allo stato di fatto delle nature molto, ma molto lapsae delle coppie cristiane di oggi?
L’idea avanzata da Giuliano Ferrara prova la strada stretta di preservare la dottrina, evitando l’introduzione del “divorzio sacramentale” nella chiesa, cioè la negazione dell’indissolubilità, liberando allo stesso tempo anche la forza evangelica e medicamentosa del perdono, che è quel che vuole Francesco per la sua chiesa ridotta a ospedale da campo. In pratica: “Il pastore indice una sessione penitenziale straordinaria per te e per il nuovo compagno di vita matrimoniale che ti sei scelto/a”. Si tratta di accettare in piena coscienza una vita di piena castità nel nuovo matrimonio. Sarà poi il vescovo a stabilire che il matrimonio è cessato in quanto matrimonio e si è trasformato in una piccola “chiesa domestica”. Solo a costo di questa radicale, penitenziale ma misericordiosa trasformazione di quello che fu matrimonio, è consentito il pieno rientro nella comunione (eucaristica).
La modesta proposta trova in prima battuta, e per una prima metà della soluzione, l’approvazione di un intellettuale cattolico di scuola tradizionale come Roberto De Mattei, che sulle colonne del Foglio ha già avuto modo di criticare la relazione sinodale del cardinale Walter Kasper per la sua deriva anti dottrinale. “Lo spunto è buono – dice – perché coglie il tema di fondo: l’impossibilità per la chiesa di ammettere come lecita un’unione sessuale dopo il primo matrimonio. La soluzione è compatibile, attraverso la confessione, come soluzione ad personam, ad esempio in caso di coppie anziane, o con figli da tutelare. Attraverso un impegno di castità, posto che il giudizio sulla coscienza è solo di Dio, c’è la possibilità della riconciliazione personale, della piena vita sacramentale”. Quel che convince meno De Mattei è l’idea di chiedere per questo provvedimento ad personam una “forma istituzionalizzata”. Soprattutto perché agli occhi del mondo, e della comunità, “quella coppia riammessa all’Eucaristia sarebbe comunque solo una coppia di divorziati risposati. Insomma il rischio del ‘peccato di scandalo’ resta, con il danno alla proiezione sociale e istituzionale insite nel valore del matrimonio cristiano”.
[**Video_box_2**]Paradossalmente ma nemmeno troppo, la dimensione pubblica del matrimonio è il tema su cui punta anche Massimo Faggioli, storico del cristianesimo di scuola conciliarista, docente negli Stati Uniti, non convinto della modesta proposta: “Mi sembra che sia vittima di una certa idea ipersessualizzata del matrimonio, mentre il ruolo che il sesso gioca in esso è assai minore. Mi spiego. Il ‘genio’ tridentino del matrimonio cattolico è di avere reso casta la sessualità matrimoniale, ma inserendo e mettendo in risalto molto di più la dimensione pubblica, la valenza sociale e di istituzione del matrimonio”. Poi che cosa è cambiato? “Negli ultimi 40 anni, l’influenza di Giovanni Paolo II ha ‘romanticizzato’ molto il matrimonio. La sopravvalutazione della valenza sessuale che pesa nel dibattito di oggi nasce lì, ma è eccessiva”, dunque la sottolineatura della castità come conditio sine qua non per l’ammissione al sacramento, rischia di sminuire il resto, “mentre ad esempio qui negli Stati Uniti tutte le seconde nozze di divorziati cattolici hanno la pura funzione di tutela sociale di figli, famiglia, eccetera”. Sta di fatto che la guerra sinodale è scoppiata. Tra la posizione kasperiana e quella dei suoi oppositori, quale le sembra dunque avvicinarsi di più a una tutela “non romantica” del matrimonio? “Direi che il realismo di Kasper si avvicina di più a questa necessità”.
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