Il carro della “giustizia climatica” è affollato, il summit dell'Onu deserto
La polizia non si pronuncia, ma se gli organizzatori non mentono spudoratamente domenica per le strade di New York c’è stata la più grande manifestazione di sempre contro i cambiamenti climatici. 310 mila persone hanno sfilato per la città, capitanate da una pattuglia di vip.
New York. La polizia non si pronuncia, ma se gli organizzatori non mentono spudoratamente domenica per le strade di New York c’è stata la più grande manifestazione di sempre contro i cambiamenti climatici. 310 mila persone hanno sfilato per la città, capitanate da una pattuglia di vip, da Leonardo DiCaprio, da poco nominato “messagero di pace” dell’Onu, all’immancabile Al Gore. Il ministro degli Esteri francese, Laurent Fabius, ha sfilato accanto al segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, che ha abbandonato la grisaglia d’ordinanza in favore della t-shirt ufficiale della “People’s climate march” e il cappellino da baseball per sottolineare l’impegno contro i cambiamenti climatici nella settimana della grande conferenza di New York.
Grande conferenza che, come spesso accade, non è che la preparazione di un’altra grande conferenza, quella di Parigi del prossimo anno. Alla grande conferenza di sei anni fa, a Copenaghen, si era deciso di non decidere nulla e di procedere così, di conferenza in conferenza. Questa volta però c’è il popolo di mezzo, non il nebuloso popolo della rete ma il popolo reale, quello che fa massa critica e scatena primavere, e pazienza se sono fuori stagione. Nella più grande manifestazione della storia contro i cambiamenti climatici si è notato però un filo di confusione. Tutti i manifestanti erano convinti antagonisti, nel loro intimo, del global warming, ma il tema climatico si è trasformato in un generico catalizzatore di qualunque pulsione antisistema. Nel corteo c’erano i sindacati del settore automobilistico, gli avvocati del salario minimo, quelli che chiedono più case popolari, le associazioni per la difesa dei nativi americani, i rappresentanti del movimento vegano, c’erano le maschere di Anonymous e gli anarcoidi di Occupy Wall Street, c’erano i “pacifisti arrabbiati” contro l’avventurismo americano in medio oriente.
[**Video_box_2**]Praticamente tutte le minoranza etniche e religiose erano rappresentate nel caravanserraglio della protesta ambientale, ed è legittimo domandarsi se sia venuto prima il carattere climatico della manifestazione o la voglia dei manifestanti dell’ampio spettro della sinistra di saltare su un carro abbastanza grande per tutti. La battaglia climatica si presta a fare da sfondo a qualunque rivendicazione antisistema. Protestare contro il clima significa battersi contro le multinazionali che distruggono il pianeta, contro i governi che non fanno nulla, contro gli speculatori che controllano il prezzo dell’energia e presentano il conto alle famiglie meno abbienti sotto forma di bollette. Per legare la battaglia ambientale alla crisi abitativa della middle class impoverita bastano un paio di passaggi. Per questo hanno inventato il termine “giustizia climatica”, che combina l’anima radical e quella onusiana, una specie di abbraccio fra Piketty e Ban Ki-moon. La manifestazione ha avuto il suo proseguimento ideale lunedì con l’iniziativa “Flood Wall Street”, che già nel nome contiene l’idea apocalittica dell’inondazione. Immancabile l’intervento di Naomi Klein, che nel suo ultimo libro lega la crisi climatica al capitalismo.
Alla marcia contro i cambiamenti climatici c’erano tutti, ma alla conferenza in cui si dovrebbe decidere come combatterli, questi maledetti cambiamenti, non ci sarà nessuno. Ci sarà il padrone di casa, Barack Obama, ci sarà la rappresentanza europea e tutta la gerarchia sopranazionale, ma mancherà il primo paese per emissioni nocive, la Cina, non ci sarà l’India e ovviamente non ci sarà la Russia, affaccendata in altro. Anche il Giappone, alle prese con gli strascichi psico-politici di Fukushima, ha rinunciato. Il ministro del Petrolio dell’Arabia Saudita invece ci sarà. I manifestanti erano troppo intenti a protestare contro qualcos’altro per notare le defezioni che svuotano di significato la conferenza sul clima.
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