Politicamente Correttissimo
Il turismo dei diritti
Mentre il Parlamento inizia a discutere, a fatica, un prudentissimo disegno di legge per il riconoscimento delle unioni civili, il comune di Bologna consente la trascrizione, nei registri di stato civile, delle unioni tra persone dello stesso sesso contratte all’estero.
Mentre il Parlamento inizia a discutere, a fatica, un prudentissimo disegno di legge per il riconoscimento delle unioni civili, il comune di Bologna consente la trascrizione, nei registri di stato civile, delle unioni tra persone dello stesso sesso contratte all’estero. L’importanza di questo provvedimento si può misurare (anche) dalle polemiche sollevate da quanti ricorrono a istituti giuridici antichi e abusati, come quelli richiamati dal prefetto nella sua lettera di contestazione della direttiva comunale: e ciò al fine di impedire alla legge di sostenere e promuovere, e comunque non ostacolare, i diritti di tutti. In questo senso, il motivo addotto per impedire la trascrizione nel registro di stato civile, ovvero il ricorso al concetto di “contrarietà all’ordine pubblico” è emblematico. Quel concetto, infatti, ha rappresentato il limite che – con un’interpretazione tutta chiusa negli orizzonti nazionali – viene opposto a chi, recatosi all’estero per esercitare diritti fondamentali qui preclusi, ne rivendica il riconoscimento in Italia.
In altri termini, risulta bizzarro per il senso comune e per quella parte dell’opinione pubblica che abbia una qualche dimestichezza con il diritto, il fatto che un’unione perfettamente legittima appena al di là dei confini nazionali, possa risultare in Italia totalmente irrilevante e costretta alla “clandestinità”. E lo stesso potrebbe dirsi per un bambino, nato all’estero da “gestazione per altri” o fecondazione eterologa (fino ad aprile da noi illecita anche per le coppie eterosessuali). Possibile che, di questi bambini, lo stato italiano debba ignorare i “veri” genitori: coloro i quali, cioè, a quei figli hanno affidato non dei gameti ma un progetto di vita, una prospettiva di futuro, una rete di rapporti e legami?
Come può ammettersi una nazionalizzazione dei diritti fondamentali all’interno dei limiti territoriali di uno stato? Tanto più in un’epoca che ha visto cadere le barriere nazionali per ogni tipo di rapporto economico, sociale, politico e giuridico. Sui rischi del “turismo dei diritti”, è assai utile la riflessione offerta dalla Corte costituzionale, con la sentenza che ha dichiarato illegittimo il divieto di fecondazione eterologa. Lì la Consulta ha ricordato che vietare il ricorso alla scienza per l’esercizio di un “incoercibile diritto” (come quello alla procreazione), ora precluso da un limite del corpo, significa legittimare una discriminazione di censo intollerabile. Ciò che va globalizzato, insomma, dev’essere non l’indifferenza ai diritti, ma la loro tutela.
[**Video_box_2**]Quella sentenza ha molto in comune con la direttiva dell’amministrazione di Bologna. Ma anche con la recente pronuncia del Tribunale per i minorenni di Roma, che legittimando l’adozione del figlio del partner ha proposto un’interpretazione evolutiva della normativa vigente, per non discriminare i bambini inseriti in nuclei familiari omogenitoriali. E ha molto in comune anche con la sentenza di giugno, con cui la Consulta – nel dichiarare illegittimo il divorzio “imposto” ex lege per il solo fatto del mutamento di sesso di uno dei coniugi – ha evidenziato la necessità di disciplinare quest’unione (non più eterosessuale). Per non lasciarla nel limbo dell’irrilevanza giuridica e, tuttavia, per non obbligare la coppia a sciogliere un vincolo ancora affettivamente forte, per il venir meno – e per ciò solo – della differenza di sesso tra i partner. Nella stessa prospettiva, sin dal 2010 la Corte costituzionale ha affermato la necessità di garantire alle coppie omosessuali quel complesso di diritti sanciti dall’art. 2 della Costituzione e, in particolare, “il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia, ottenendone (…) il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri”.
E il Parlamento cosa dice?
Decisioni, queste, che hanno con lungimiranza fornito un’interpretazione della normativa vigente orientata ai diritti, tale cioè da impedire che gli istituti giuridici codificati possano ostacolare il libero sviluppo della persona in uno dei campi più importanti e delicati: la sfera affettiva. L’iniziativa del comune di Bologna ha questo significato profondo e per ciò va sostenuta e, quando possibile, estesa, in quanto modello di “buona amministrazione”. E ciò per non riprodurre all’interno del territorio nazionale quegli steccati che, impedendo l’esercizio di libertà fondamentali, costringono al “turismo dei diritti” di cui si è detto. E però, a fronte di decisioni importanti sul piano amministrativo e giudiziario, resta il silenzio del Parlamento, visibilmente e drammaticamente incapace di disciplinare quelle nuove forme dello stare insieme che emergono con forza dai mutamenti in corso nella vita sociale. In nome di un’idea irrigidita e cristallizzata di famiglia, che dimentica come la stessa definizione costituzionale di “società naturale” ne indichi – lo ricorda la Consulta – “soltanto” la pre-esistenza rispetto allo stato: e quindi l’“originarietà” dei diritti che devono esserle riconosciuti.
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