Tra Camusso e Rand Paul
Con chi triangola Renzi in America per togliere lavoro alla minoranza Pd
Lezioni dalla Silicon Valley. Il discorso all’Onu. Quel modello di business spiegato dall’analista di Obama.
New York. Non che la missione americana di Matteo Renzi fin qui abbia gravitato attorno a temi marginali, ma lavoro e crescita, oggetto dell’intervento di oggi al Council on Foreign Relations di New York, sono al centro della più americana delle lezioni che Renzi può e vuole importare. Il premier ne ha avuto un saggio nei corridoi della Silicon Valley, luoghi d’innovazione abitati da spiriti libertari dove il concetto di tutela dell’impiego as we know it è una specie di animale mitologico. Non a caso il senatore libertario Rand Paul sta lavorando all’apertura di un ufficio dalle parti di San Francisco, luogo sensibile all’idea della flessibilità sul posto di lavoro come fattore di crescita e libertà. Certo, fra Rand Paul e Susanna Camusso c’è di mezzo un intero universo ideologico e Renzi si colloca da qualche parte nel mezzo, comunque più a suo agio nella patria dell’“employment at will” che in quella dell’articolo 18. Matt Browne, analista del think tank obamiano Center for American Progress e pontiere renziano verso il mondo anglosassone, spiega al Foglio che la vera lezione americana per Renzi “riguarda la capacità di far crescere le aziende. In Italia non mancano il talento né gli imprenditori, manca la capacità di trasformare piccole e medie imprese in business globali. Questa è la componente essenziale del mercato del lavoro americano: produrre opportunità. E le protezioni sindacali a oltranza non producono opportunità, non generano ricchezza”. Secondo Browne, dalla California Renzi può portare a casa anche quella che chiama la “lezione irlandese”, cioè la capacità di riportare in patria gli italiani che hanno prodotto innovazione all’estero: “Lo puoi fare soltanto con politiche orientate alla crescita e un mercato del lavoro flessibile”. Magari i due avranno occasione di parlare delle lezioni americane sabato a Firenze, alla festa di matrimonio di Marco Carrai.
Ieri Renzi ha fatto vita onusiana: il rituale della conferenza sul clima (ha chiesto “un accordo capace di dare il segno della volontà politica”, peccato che non ci fossero i più grandi produttori di emissioni), gli incontri bilaterali con il presidente turco Recep Tayyip Erdogan e la presidentessa del Cile, Michelle Bachelet, oltre a quello con il segretario generale Ban Ki-moon, il saluto breve e a lungo agognato a Bill e Hillary Clinton, che durante la settimana dell’Assemblea generale organizzano la Global Clinton Initiative, solenne liturgia filantropica e potente centro di networking. Il ricevimento formale organizzato da Barack Obama ha chiuso una giornata da capo di governo. Domani vedrà David Miliband, simbolo del riformismo blairiano. L’incontro nel prestigioso think tank di politica estera che pubblica la rivista Foreign Affairs ributta invece l’americano Renzi nel mezzo della sua vocazione politica. Discuterà delle “sfide comuni dell’Europa e degli Stati Uniti” sul lavoro e la crescita con la vicepresidente e Cfo di Morgan Stanley, Ruth Porat, nota come “la donna più potente di Wall Street” quando il titolo non viene attribuito, in senso più ampio, a Hillary.
[**Video_box_2**]L’incontro al Council on Foreign Relations è a sua volta un rituale per il presidente del Consiglio italiano in missione americana. Ci sono passati anche Mario Monti ed Enrico Letta, ma Renzi parlerà di lavoro mentre infuria l’agitazione sindacale intorno alla rottamazione dell’ultimo tabù italiano. A sottolineare il clima di rottura ci sarà Sergio Marchionne, in visita ufficiale in rappresentanza del Consiglio per le relazioni fra Italia e Stati Uniti che co-sponsorizza l’evento. I due avranno modo di passare insieme tre ore e mezzo a Detroit venerdì, ma la sola presenza newyorchese basta a suscitare un senso di rupture con gli antichi corporativismi italiani. Miele per le orecchie dei rappresentanti di Wall Street che assisteranno alla conversazione del premier. E gioia per i funzionari dell’Amministrazione Obama, che dall’alba della crisi dell’euro cercano solidi alleati nel Vecchio continente per contrastare l’austerità tedesca, per interposto Draghi.
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