Renzi e Marchionne, lingua in bocca a New York
“Nel derby fra l’austerità e la crescita il governo sta dalla parte della crescita. Questa è una lezione che impariamo dall’America”. Matteo Renzi riempie con l’efficacia del linguaggio non verbale i buchi della lingua inglese (“siderurgia come si dice? Com’è asilo nido?”) per spiegare la sua visione al Council on Foreign Relations.
“Nel derby fra l’austerità e la crescita il governo sta dalla parte della crescita. Questa è una lezione che impariamo dall’America”. Matteo Renzi riempie con l’efficacia del linguaggio non verbale i buchi della lingua inglese (“siderurgia come si dice? Com’è asilo nido?”) per spiegare la sua visione al Council on Foreign Relations, think tank newyorchese che ospita il salotto buono dell’economia, dall’industria a Wall Street. In prima fila Sergio Marchionne – che ha definito “eccezionale” l’intervento di Renzi sul lavoro – guarda attentamente gli strali che il premier, galvanizzato dal clima americano, lancia contro la “sinistra radicale” che vuole “mantenere leggi sul lavoro fatte per un’altra epoca” o quando invoca la semplificazione del sistema di ostacoli che soffoca gli imprenditori, “dalla Fiat-Chrysler alla piccola impresa di provincia”. Renzi e Marchionne avranno modo di tornare su questi concetti domani a Detroit. La conversazione guidata da Ruth Porat, vicepresidente e Cfo di Morgan Stanley, si trasforma così per Renzi nell’occasione per fare la lista delle cose che ha imparato in America. Lezioni note sulla semplificazione radicale della politica, sulla riforma della giustizia – grande freno agli investimenti esteri, fra le altre cose – e sulla legge elettorale (“in America la notte delle elezioni si sa chi ha vinto, tranne nel 2000. In Italia ogni anno è come il 2000”). Leggermente meno battuta l’insistenza renziana sulle potenzialità industriali dell’Italia, tanto per aggirare i cliché passatisti della cultura, del turismo e della moda che solitamente funzionano a meraviglia sulla piazza americana. Di fronte a una domanda sulla politica estera del governo, Renzi opera anche l’archiviazione lampo della tesi della “fine della storia” di Francis Fukuyama, perché “ora tutto è cambiato”, e nella grande ridefinizione degli equilibri globali, la priorità di Roma è la Libia, e a ruota l’Europa: “La mancanza di Europa è preoccupante”.
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