Alberto Ruiz-Gallardón

Fine solitaria di un eroe antiabortista

Giulio Meotti

Dopo trent’anni “el triunfador” Gallardón lascia la politica spagnola. Non ha voluto rinunciare alla sua legge restrittiva sull’aborto, “la più progressista del governo”. Benigno Blanco: “Ha salvato tante vite umane”.

Roma. I maligni lo chiamavano “el hombre del Opus Dei”. L’uomo dell’Opus Dei nel Partito popolare spagnolo. Ma l’ex ministro della Giustizia di Madrid, Alberto Ruiz-Gallardón, faceva parte dell’ala progressista del partito di maggioranza spagnolo. Vantava credenziali da sincero democratico, come la contrarietà a ribaltare la legislazione zapaterista sulle unioni gay e l’appartenenza alla Fondazione Wallenberg, dal nome del diplomatico svedese che salvò migliaia di ebrei durante l’occupazione nazista di Budapest. Gallardón si è dimesso dopo che il premier Mariano Rajoy ha seppellito la “legge Gallardón” sull’aborto. “La legge più avanzata e progressista fatta dal governo”, come l’aveva definita l’ex ministro. Finisce così una carriera politica lunga trent’anni. Finisce su una questione di principio. Non capita tutti i giorni. “El triunfador”, come veniva chiamato Gallardón dopo aver vinto le municipali a Madrid, non è mai piaciuto alla destra spagnola e José Maria Aznar l’aveva confinato nella presidenza della provincia di Madrid. Troppo sofisticato.

 

“Voleva essere un combattente, ma non si può combattere tutti”, dicono i suoi amici. I collaboratori dell’ex ministro gli avevano consigliato di mettere da parte la riforma dell’aborto, ma Gallardón ostinatamente era andato avanti. Sfidando il primo ministro e il partito. La restrizione dell’aborto, soprattutto nel suo volto eugenetico, faceva parte del programma elettorale dei popolari. Si doveva invertire la rotta, visto che la Spagna è diventata il primo paese d’Europa per aborti procapite. Gallardón aveva scommesso tutto sulla “difesa dei nascituri” e contro l’aborto “come metodo contraccettivo”. Un anno fa,  aveva tenuto un discorso nel presentare la riforma. Aveva detto che “la vita dei non nati è un bene giuridico che lo stato deve proteggere” e che “non esistono feti di prima e seconda classe”. Poi aveva chiesto: “Quand’è che abbiamo smesso di difendere l’embrione?”.

 

“Il mio mondo è la musica, la politica è solo una pausa”, diceva Gallardón a chi minacciava di farlo saltare dal governo (è molto fiero della propria collezione di spartiti musicali). Padre di quattro figli, nipote del grande compositore Isaac Albéniz, l’ex ministro della Giustizia  studia dai gesuiti e si laurea in Legge ad appena ventun anni. Diventa un “fraguista”, ovvero un allievo di Manuel Fraga, scrittore, professore universitario, diplomatico, autore della legge che reca il suo nome e che soppresse la censura preventiva franchista sulla stampa, artefice del delicato passaggio dalla dittatura alla democrazia. Mentre i socialisti, la sinistra radicale e persino alcuni deputati popolari si “felicitano” per le sue dimissioni (Pedro Sánchez ha detto “non me ne può fregare di meno di Gallardón”), i principali gruppi pro life, come Derecho a vivir, difendono la scelta coraggiosa di Gallardón. Il presidente del Forum delle famiglie, Benigno Blanco, ieri ha detto che sarà “eternamente grato” a Gallardón per la sua difesa della vita e che la discussione da lui avviata “ha salvato molte vite umane”. Il giornalista Ernesto Ekaizer ha detto che le dimissioni sono “il suo testamento”.

 

Gallardón ha ereditato la sua “ossessione per l’aborto” dal padre, José Maria, il politico popolare che diede battaglia ai socialisti del premier Felipe Gonzàles quando questo liberalizzò l’aborto nel 1985 (la legge verrà ampliata poi dal governo Zapatero). “Don José María, abbiamo perso”, gli dissero i compagni di partito a Gallardón padre. E lui rispose, con un mezzo sorriso, “assolutamente no. Abbiamo combattuto”. Gallardon aveva fatto dell’antieugenismo la sua bandiera. “La disabilità in una società avanzata e progressista non può significare una perdita di diritti. E’ contrario a qualunque principio elementare di difesa della dignità della persona stabilire diversi livelli di protezione in funzione delle capacità o disabilità delle persone”. Sedicimila e 133 bambini spagnoli sono stati abortiti in cinque anni perché portatori di qualche forma di handicap. Ma contro la legge Gallardón si era schierata l’elite medica di Spagna.

 

“Est regis tueri cives” - Scatenato contro il ministro il giornale El País, organo zapaterista di tante battaglie bioetiche e civili. L’editorialista Juan Masía aveva scritto, contro Gallardón, che “l’aborto di un bambino anencefalico non è l’aborto di un essere umano”. Poi arrivò l’appello di settecento medici spagnoli a favore dell’aborto dei bambini disabili. E il più autorevole neurochirurgo spagnolo, Javier Esparza, indirizzò una lettera aperta a Gallardón sostenendo il diritto all’aborto dei bambini handicappati: “Nessuno ha il diritto di obbligare alla sofferenza”. Le Femen lo fermavano per strada urlandogli slogan come “togli i tuoi rosari dalle nostre ovaie”.

 

Gallardón citava sempre un detto latino: “Est regis tueri cives”. Ovvero è dovere del re proteggere i cittadini. Anche i non nati. Anche i più piccoli. Così alla fine Gallardón è stato paragonato al “re triste” Baldovino, il monarca del Belgio che al momento dell’approvazione della legge sull’aborto nel suo paese, nel 1990, si dimise per un giorno e si fece dichiarare “nell’impossibilità di regnare” pur di non apporre la sua firma sulla legge dell’aborto. Ieri il quotidiano la Razón ha così commentato le dimissioni di Gallardón: “Fine di un gladiatore”.
Giulio Meotti

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  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.