La scelta di Londra
Cameron nasconde l’imbarazzo e va al voto per la guerra in Iraq. Il faccia a faccia con Rohani.
Milano. Domani il Parlamento britannico si riunirà per votare la missione militare contro lo Stato islamico, come richiesto dal premier, David Cameron, che ha già pronti gli aerei – per la prima volta i droni uscirebbero dal loro spazio d’azione consueto, nella zona afghana – e le ragioni per spiegare la necessità dell’attacco. Ed Miliband, leader del Labour, ha fatto intendere che sulla missione in Iraq non ci saranno troppi problemi (pure se la rivolta interna al partito è già iniziata), ma per quel che riguarda la Siria si deve attendere una risoluzione delle Nazioni Unite – le discussioni al Consiglio di sicurezza sono già iniziate, presiede i lavori il presidente Barack Obama. Gli alleati regionali degli Stati Uniti bombardano da lunedì il nord della Siria (ieri sono stati colpiti obiettivi lungo il confine con la Turchia), gli Emirati Arabi Uniti celebrano la loro pilota donna mentre i sauditi fanno sapere che a guidare uno dei loro aerei c’era addirittura un principe della Casa reale, ma gli alleati occidentali ancora non si sono mossi.
La Francia ha già escluso il coinvolgimento militare in Siria, il Regno Unito si tormenta: l’intervento in Siria è considerato illegale – gli iracheni hanno chiesto aiuto, i siriani no, anche se invitano alla lotta comune “contro lo stesso nemico” – e riporta alla memoria la guerra del 2003 in Iraq, ma allo stesso tempo, come suggerisce il Times, c’è un gran valore simbolico e strategico nel partecipare tutti uniti alla missione. Cameron non esclude nulla e dice – come Obama – che la minaccia alla sicurezza nazionale è imminente, mentre i cameroniani ripetono che l’imperativo è morale, pazienza per la legalità; intanto il premier incontra a New York il presidente iraniano Hassan Rohani, nel primo faccia a faccia a questo livello dalla Rivoluzione del 1979: i giornali inglesi parlano apertamente di uno “scambio”, Teheran aiuta l’occidente contro lo Stato islamico e sul nucleare un accordo ci sarà, ma la linea ufficiale prevede la divisione dei due dossier (l’Iran è stato comunque avvertito degli strike in Siria).
[**Video_box_2**]Sul campo la questione si complica, c’è polemica sugli obiettivi degli strike e alcuni gruppi vicini ai ribelli siriani condannano gli attacchi americani: ci indeboliscono, dicono, invece che aiutarci. Il ritardo accumulato nella gestione della crisi siriana – il Parlamento inglese votò contro l’intervento alla fine dell’estate dell’anno scorso – aumenta i rischi della missione, mentre Londra deve affrontare altri problemi, culturali e sociali: attorno alla lotta allo Stato islamico si sono addensati tutti gli imbarazzi possibili per gli inglesi. E’ britannico il giornalista-prigioniero che spiega, ogni tre o quattro giorni, tuta arancione e sguardo deciso, le ragioni della resistenza dello Stato islamico; è britannico il prigioniero in testa alla lista delle prossime decapitazioni, Alan Henning: sua moglie Barbara ancora ieri diceva straziata di aver ricevuto un audio di Alan in cui supplica Londra di salvargli la vita e Abdullah el Faisal, predicatore islamista durissimo che ha sostenuto molte campagne dello Stato islamico, ha chiesto di risparmiare Henning: uccidere giornalisti non è conforme alla legge coranica; è britannico il decapitatore che compare nei video rilasciati dallo Stato islamico. Come se non bastasse ieri una corte giordana ha rilasciato Abu Qatada, uno dei predicatori islamisti più conosciuti in Inghilterra e considerato fino a qualche anno fa il luogotenente di Osama bin Laden in Europa, estradato dopo una guerra legale lunga e costosa: uno schiaffo alla paura dell’occidente, ma in realtà anche l’ennesima testimonianza del grande scontro ideologico-religioso in corso nell’islam. Abu Qatada, i cui sermoni sono stati trovati ad Amburgo nella base della cellula che ha organizzato l’11 settembre, ha condannato le uccisioni dei giornalisti, ed è contro la strategia adottata dallo Stato islamico che ha fatto cambiare i sentimenti dell’opinione pubblica. Un altro rompicapo, insomma, per un Cameron che oggi pone la guerra allo Stato islamico come necessaria e inevitabile e che firma appelli assieme a Obama, ma che si ritrova a interrogarsi su quel che è accaduto finora, sulla battaglia comune con iraniani (di fatto) e sauditi, e chissà qual è il fine ultimo di questi celebrati partner regionali.
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