Un combattente sciita in iraq (foto AP)

Ci possiamo permettere questa guerra giusta ma illegittima?

Leonardo Bellodi

I raid americani in Siria non hanno giustificazioni secondo il diritto internazionale. Ecco tre possibili soluzioni.

Roma. Ai più potrebbe sembrare una provocazione. Nel corso di una telefonata tra il segretario di stato americano John Kerry e il suo omologo russo Sergei Lavrov, considerato da molti un uomo intelligente e scaltro, questi ha avvertito gli Stati Uniti che ogni azione contro l’Isis deve essere portata avanti nel pieno rispetto del diritto internazionale e che un intervento in Siria non coordinato e autorizzato dal suo governo costituirebbe una grave violazione della sovranità e del principio di non interferenza che ancora oggi sono i cardini della Carta delle Nazioni Unite. Sono più o meno le stesse accuse che gran parte della comunità internazionale ha mosso contro la Russia nella annessione di fatto della Crimea e nell’intervento in Ucraina.

 

Giorni fa gli Stati Uniti hanno cominciato a bombardare postazioni dell’Isis in Siria senza un apparente accordo con il governo di Bashar el Assad, intervento che seguiva azioni francesi in Iraq. Trovare una base giuridica forte dal punto di vista del diritto internazionale che giustifichi queste azioni non è un puro esercizio accademico ma è una condizione necessaria per formare e tenere insieme una coalizione regionale e internazionale che contrasti l’Isis nel medio e lungo periodo. E’ vero che ci sono azioni illegali ma legittime dal punto di vista morale come l’intervento Nato in Kosovo nel febbraio 1999 che non era stato autorizzato dalle Nazioni Unite. Ma oggi ci troviamo di fronte a uno scenario molto più complicato: l’azione dell’Isis in Iraq e la costituzione di un “quasi stato” nella regione, il tema del Kurdistan e il ruolo della Turchia, la guerra civile in Siria, il sostegno di gran parte dell’occidente agli insorti siriani, gli scontri tra questi e l’Isis in Siria, l’appoggio dell’Iran al regime siriano e il ruolo fondamentale che l’Iran potrebbe avere per stabilizzare la regione e combattere efficacemente l’Isis se solo i negoziati sul tema nucleare si fossero conclusi (in senso positivo), il peso e il ruolo della Russia nei confronti di tutti questi paesi sono pesantemente condizionati da quanto sta succedendo in Ucraina. Oggi forse non ci possiamo più permettere una guerra giusta ma illegittima dal momento che molti stati potrebbero sentirsi “moralmente obbligati” ad agire nelle situazioni più disparate. Ci sarebbe bisogno dunque di una risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che autorizzasse l’azione militare di una coalizione internazionale contro l’Isis in qualunque regione del mondo questo si trovi.

 

Il problema principale del diritto internazionale classico è che è legato al sistema, nato con la pace di Vestfalia, della rigida protezione della sovranità nazionale da cui discende il principio di non interferenza negli affari interni di uno stato, che è anche la base della Carta delle Nazioni Unite. Il Consiglio di sicurezza può autorizzare deroghe a questo principio ma il diritto di veto concesso alle grandi potenze, con buona pace della uguaglianza di tutti gli stati, rende molto improbabile che la Russia e forse anche la Cina non lo esercitino. La prima per la vicinanza al regime siriano, la seconda per un’ostilità manifesta a deroghe ed eccezioni al principio di non interferenza negli affari interni. Quale dunque la via d’uscita? Anche in assenza di autorizzazione da parte del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite esistono alcune eccezioni al divieto di uso della forza. Una di queste è il consenso: la presenza militare e l’eventuale uso della forza di un stato entro i confini di un altro stato possono essere giustificate dal consenso di quest’ultimo. L’intervento militare in Iraq non sembra porre problemi dal momento che il governo legittimo iracheno ha chiesto assistenza alla comunità internazionale per contrastare l’Isis. La situazione è completamente diversa in Siria dal momento che il governo del paese ha in modo molto chiaro fatto sapere che ogni intervento armato per combattere l’Isis sarebbe stato considerato un’ aggressione. La strada del consenso è dunque preclusa. Si potrebbe forse percorrere la strada della legittima difesa, prevista dall’articolo 51 della Carta Onu che fa salvo il “diritto naturale” di legittima difesa di uno stato. E qui sorgono altri due problemi. Il primo è che non è chiaro se questa eccezione sia applicabile anche quando il pericolo derivi da organizzazioni non governative. Con la risoluzione 573, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha condannato Israele per un attacco in Tunisia che ospitava alcune basi dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina di Yasser Arafat e sempre l’Onu ha condannato la Turchia per azioni armate compiute contro il Pkk nel nord dell’Iraq. Il tema è forse superabile vista la posizione delle Nazioni Unite nei confronti di al Qaida che varrebbe a maggior ragione nei confronti dell’Isis. Il problema principale è però costituito dal fatto che gli Stati Uniti hanno dichiarato che allo stato attuale l’Isis non costituisce una minaccia per il proprio paese facendo così venir meno la possibilità di invocare, almeno per il momento, la legittima difesa.

 

[**Video_box_2**]C’è poi un altro aspetto che rende ancora più complicata la situazione. Secondo una scuola di pensiero, peraltro piuttosto criticata dai custodi del diritto internazionale classico, l’intervento armato è legittimo quando uno stato è incapace o non particolarmente desideroso di contrastare fenomeni, come per esempio organizzazioni terroristiche, che mettano a repentaglio la sicurezza di uno stato o la stabilità di una regione. Il paradosso nel caso della lotta all’Isis è costituto dal fatto che la Siria si è dichiarata totalmente disponibile a contrastare l’Isis anche con l’aiuto della comunità internazionale e sono gli Stati Uniti ad aver espressamente, e comprensibilmente, escluso la possibilità di qualsivoglia cooperazione con il regime siriano. Una situazione completamente nuova nel sistema delle relazioni internazionali.

 

Non è semplice uscire da questo impasse. Una soluzione potrebbe essere un grande sforzo diplomatico per ottenere il consenso da parte di Russia e Cina, magari mettendo sul tavolo un accordo con l’Iran. Un’altra soluzione è di continuare gli attacchi sperando nell’assenza di reazioni da parte delle “grandi potenze”. Nel diritto internazionale, il passare del tempo fornisce una specie di giustificazione giuridica alle situazioni di fatto illegali, come il caso della Crimea insegna. Vi è poi una terza possibilità, fantapolitica. l’Isis pare avere tutti i requisiti previsti dalla Convenzione di Montevideo per la formazione di uno stato: un territorio, una popolazione, una più o meno stabile organizzazione di governo. E se fosse veramente uno stato, gli si potrebbe, legittimamente, dichiarare guerra.

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