Matteo Renzi e Sergio Marchionne (foto LaPresse)

Rottamatori in tandem

Perché Renzi non teme di adottare per l'Italia il “modello Marchionne”

Marco Valerio Lo Prete

“Dio lo benedica”, dice l’ad di Fiat mentre la Cei pungola il governo. Il premier insiste sulla riforma del lavoro.

Roma. “Cosa mi accomuna a Sergio Marchionne? Spero il finale”, ha detto ieri sera Matteo Renzi alludendo al salvataggio-fusione di Fiat e Chrysler, “due aziende che sembravano bollite”. Durante la visita al quartier generale della Fiat Chrysler Automobiles (Fca), a Detroit, al termine della missione negli Stati Uniti, il premier si è mostrato tutt’altro che timoroso di associarsi a uno dei personaggi più controversi nei giudizi dell’establishment italiano, il manager in pullover appunto (“due grandissimi sòla”, li ha definiti a stretto giro il patron di Tod’s, Della Valle). Dal 2004 amministratore delegato di Fiat, a partire dal 2009 Marchionne d’intesa con  Obama ha scalato e salvato Chrysler partendo da Torino, mentre in Italia scatenavano polemiche la sua scelta di contratti aziendali per le fabbriche del Lingotto e la sua uscita da Confindustria. Il manager, durante la conferenza stampa, a sua volta non ha lesinato elogi: “Cosa abbiamo in comune io e Renzi? Il presidente non ha paura, e non è un fatto da sottovalutare nella sfida che ha davanti, non è da tutti”. Nel giorno in cui la Conferenza episcopale italiana (Cei) denunciava “il rischio” degli “slogan”, e i sindacati interpretavano queste parole come un freno al governo sulla riforma del mercato del lavoro, l’endorsement di Marchionne – che si è spinto fino a un sorridente “Dio lo benedica” – conta pure di più.

 

“Leggo tutti i commenti, anche dei giornalisti che scrivono articoli contro… Ho assorbito diverse critiche dall’Italia e me ne sono fregato, consiglio a Renzi di fare lo stesso”, ha aggiunto il primo azionista del Corriere della Sera, il cui direttore Ferruccio de Bortoli due giorni fa ha criticato duramente il premier. Renzi ha insistito sull’apertura dell’Italia ai capitali stranieri, sull’indifferenza del governo rispetto alle sedi legali o fiscali delle aziende. L’enfasi, piuttosto, è per il tema dell’occupazione, a partire dalla riforma del lavoro: “Il reintegro” di chi è licenziato non è “un obbligo costituzionale”, ed è peggio dell’indennizzo monetario “se crea lavoratori di serie B”, ha detto Renzi tornando sul superamento dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Teme spaccature nel Pd in vista della direzione di lunedì? “Non vedo questo rischio”, ha concluso.

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