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Cosa c'è dietro l'uscita del Banchiere che ha globalizzato la Cina
Per il Wsj, Zhou Xiaochuan lascerà la Banca del popolo dopo dodici anni. Ora l’ordine è “crescere cum juicio” .
Milano. Solo sei mesi fa il presidente Xi Jinping l’ha definito “la nostra risorsa più importante”. Eppure, nonostante l’encomio pubblico, inusuale per un leader prudente come Xi Jinping, i giorni di Zhou Xiaochuan, il più longevo banchiere centrale del pianeta da dodici anni alla testa della People’s Bank of China, sembrano ormai contati. Per il cruccio di Lawrence Summers, l’ex segretario al Tesoro americano, protagonista con Zhou di una storica sfida a tennis a margine di un G20. La posta in gioco? Chi vince, scherzarono i due, potrà fissare il tasso di cambio tra dollaro e yuan. Il match point se lo aggiudicò Zhou: non è dato sapere se e come la scommessa sia stata onorata. Di sicuro, il banchiere ora avrà più tempo per concedere la rivincita al rivale americano. A meno che, con un colpo d’ala improvviso, Zhou non riesca a restare in sella – come gli è già successo almeno tre volte negli anni passati alla guida della seconda Banca centrale del pianeta, l’unica che, sottolinea l’agenzia Bloomberg, dispone delle risorse necessarie per scacciare l’incubo deflazione, problema tutto europeo che ieri Draghi ha detto di essere pronto ad affrontare “se serve” con gli strumenti “non convenzionali” necessari, suscitando scontate critiche dalla Germania. Zhou è un banchiere carismatico, capace di evocare, come ha fatto nel 2009, la nascita di un nuovo sistema monetario, basato sui diritti speciali di prelievo invece che sul dollaro. Ma stavolta la sua sorte sembra segnata, almeno per il Wall Street Journal che ieri ha anticipato la notizia: il suo successore da ottobre potrebbe essere Guo Shuqing, governatore dello Shandong, il quale ha già presieduto, a sorpresa, l’ultima riunione del comitato monetario della Banca. A giudicare dal curriculum del candidato, verrebbe scontato pensare a una staffetta nella continuità: anche Gu, come Zhou, vanta un lungo tirocinio alla testa della China Construction Bank, uno dei forzieri del Partito. Anche lui ha presieduto la Consob cinese, svolgendo un ruolo chiave nella riforma dei mercati azionari. Ma i motivi che suffragano l’eventuale uscita di scena del banchiere non convince del tutto. Ecco perché.
Primo, perché Zhou, che ha già superato i 65 anni, è stato confermato per la terza volta alla guida della Banca solo pochi mesi fa. Secondo perché il cambio della guardia avviene nel mezzo di una lunga marcia che, secondo i suoi progetti, avrebbe dovuto concludersi tra un paio d’anni con la piena convertibilità dello yuan, obiettivo che richiede un duro lavoro di organizzazione (e pulizia) del sistema creditizio. Infine perché la fama che si è costruito Zhou, in patria e nei consessi internazionali, rende la notizia troppo ghiotta per essere archiviata come una semplice staffetta all’interno della nomenclatura.
[**Video_box_2**]Certo, in un sistema dall’architettura sofisticata, qual è quello cinese, è fuorviante esagerare il contributo dei singoli ma il lavoro di Zhou, benedetto fino a ieri dai vertici dello stato e del Partito, ha riguardato le sfide più delicate: la convertibilità della moneta, sfida che procede probabilmente con più lentezza di quanto da lui auspicato. Così come la liberalizzazione del mercato dei tassi e, problema dei problemi, una qualche forma di controllo della finanza ombra, lo shadow banking. E’ stato lui a disinnescare, almeno in parte, la bomba del mercato del credito parallelo con una serie di misure audaci, tra cui la nascita, tra due anni, di cinque banche private (una già aggiudicata ad Alibaba). Insomma, un riformatore che in questi anni ha saputo disinnescare le mine più pericolose. Per queste ragioni la tesi del Wsj – ma non dell’Economist, spiazzato dallo scoop del quotidiano di Murdoch – è che il pensionamento di Zhou sia una vittoria del fronte conservatore. Il presidente e il premier, Li Keqiang, sono restii a innaffiare l’economia di denaro per sostenere la crescita del pil al 7,5 per cento, come da programma. L’economia cinese, è la nuova parola d’ordine, non deve più crescere per crescere, riempiendo il territorio di case disabitate, prodotti che non si vendono con profitto o iniziative dall’alto costo ambientale: pioggia di denaro a vantaggio di clan corrotti e conglomerati inefficienti. Una svolta che mette a rischio molti centri di potere, che fanno sentire la loro protesta. Per farli tacere il presidente Xi avrebbe deciso di sacrificare Zhou, il banchiere che non dimentica mai la racchetta da tennis.
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