Rapporti occasionali
Obama ha saltato più di metà degli appuntamenti con la sua intelligence
Fonti dei servizi americani al New York Times: “La Casa Bianca non ascoltava le nostre relazioni sullo Stato islamico”.
Roma. Un articolo del New York Times pubblicato ieri cita alcune fonti anonime dell’intelligence americana che accusano il presidente, Barack Obama, di non avere ascoltato gli allarmi sull’ascesa dello Stato islamico in Siria e in Iraq. “Noi facevamo pressione con questi rapporti, ma la Casa Bianca semplicemente non prestava attenzione. Erano preoccupati da altre crisi, questa non era una gran priorità”. Domenica sera la rete americana Cbs ha trasmesso una lunga intervista a Obama, in cui il presidente dice che l’intelligence nazionale ha sottovalutato lo Stato islamico e ha sopravvalutato la capacità dell’esercito iracheno – che a giugno è collassato in modo catastrofico davanti all’avanzata degli uomini del gruppo comandato da Abu Bakr al Baghdadi. Il presidente cita con esattezza le parole del direttore dell’intelligence nazionale, James Clapper, che ha ammesso gli errori di valutazione, ma – nota il New York Times nell’articolo – non cita mai suoi eventuali errori di giudizio e questo “lascia gli uomini dell’intelligence a chiedersi se non siano diventati capri espiatori, e altri a chiedersi se il presidente non stia sfuggendo la sua responsabilità”.
L’articolo del New York Times e le citazioni di fonti anonime ma definite “senior” – quindi di alto livello – possono essere considerati la reazione a mezzo stampa della comunità dei servizi segreti americani. Il quotidiano newyorchese ha talvolta relazioni confidenziali con quell’ambiente e in alcuni casi si fa latore di messaggi precisi, come questo. Succedeva anche ai tempi del presidente George W. Bush, quando il New York Times pubblicava fonti anonime dell’intelligence che manifestavano un dissenso talvolta devastante con la Casa Bianca (un esempio è il periodo precedente al rapporto Nie del 2007, che negò qualsiasi progresso dell’Iran in campo nucleare).
Ieri il sito Breitbart ha tirato fuori un dato imbarazzante: il presidente ha saltato più della metà (il 57,8 per cento) delle sedute d’aggiornamento giornaliere preparate per lui dall’intelligence. Sono i Pdb, Presidential daily briefing, in cui sono presentate e discusse le minacce all’America, specialmente quelle terroristiche.
[**Video_box_2**]L’inerzia dell’Amministrazione Obama ha il potenziale per diventare un caso politico, anche se è già stata giustificata con la necessità di disimpegnare l’America dal medio oriente (una politica che il pubblico americano approva in maggioranza) dopo la guerra in Iraq e con l’ambizione di spostare la concentrazione e gli sforzi della Casa Bianca su altri temi, come l’economia nazionale, la sanità e, se proprio si deve parlare di politica estera, le relazioni con i paesi del Pacifico. Questo disimpegno desiderato da Obama non sta funzionando, per cause di forza maggiore. Con l’intesa sulla sicurezza raggiunta ieri in Afghanistan (quasi diecimila soldati non si ritirano e restano fino al 2017, per evitare davanti ai talebani tracolli come quello di Mosul a giugno, vedi editoriale a pagina tre) e con la ripartenza delle operazioni in Siria e in Iraq – dove ieri gli americani hanno bombardato 22 volte – il presidente americano consegnerà al suo successore almeno due guerre molto attive – anche se per ora e in teoria non sono previsti ruoli di combattimento per i soldati a terra.
Ora rispuntano gli articoli che nell’ultimo anno hanno descritto al pubblico americano la minaccia dello Stato islamico, e citano fonti, dichiarazioni pubbliche e rapporti dell’intelligence nazionale (per esempio: un’audizione in Congresso del novembre 2013). Come a dire: lo sapevano tutti. Nei mesi scorsi l’idea che Obama fosse molto svogliato sulla questione era già trapelata: un pezzo del New York Times lo descrive assente, mentre mastica chewing gum e guarda il BlackBerry durante le sedute dedicate alla Siria. A gennaio Obama si lasciò sfuggire in un’intervista al New Yorker una definizione che potrebbe tormentarlo a lungo: gli uomini dello Stato islamico “sono come i ragazzi delle squadre di basket giovanile – disse – non è che se si mettono la maglia di Kobe Bryant allora diventano i Lakers”.
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