Non male i calzoni corti, dice Padoan
Tutto su lavoro, tfr, conti pubblici, tasse, banche, Parigi e Berlino. Finanziare i giovani perché vadano all’estero: ottimo. Intervista al ministro dell'Economia.
Roma. Per l’Italia “non esistono scorciatoie”, la congiuntura europea è “preoccupante”, ma “in un governo ‘con i calzoni corti’ non si lavora per niente male, anzi”. Dice al Foglio Pier Carlo Padoan, a Via XX Settembre dopo che il governo ha vidimato la nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza, alla vigilia di una puntata a Napoli per accogliere i governatori della Banca centrale europea. Chi punta a dare già per consunta la credibilità dell’esecutivo Renzi, avalla la tesi dei ragazzini, incompetenti, senza un vero rapporto con la storia culturale e politica del paese. Padoan, da “non ragazzino” di competenza riconosciuta, conoscitore dei mercati, già ai vertici dell’Ocse, ribatte punto per punto.
“A dire il vero quello che mi gira intorno mi sembra un ambiente di grande cambiamento”, dice il più politico dei tecnici, come fu ribattezzato a febbraio al momento della sua nomina a ministro dell’Economia. “Un ambiente che a volte dall’esterno non si riesce ad afferrare immediatamente. Ma il dato di fondo è la grande energia che naturalmente è soprattutto del presidente del Consiglio. Una persona molto energetica”, sottolinea riferendosi a Matteo Renzi. “Vista da dentro, la situazione è meno caotica di quanto a volte possa apparire da fuori. E io sono abituato a convivere con superiori energetici, che nel senso buono dell’espressione ‘non ti lasciano mai in pace’”. Su presunte gaffe di Padoan, finora, si è potuto ricamare ben poco, anzi zero.
Pure nei retroscena affollati di (spesso incolpevoli) personalità d’establishment, teoricamente pronte a scalzare o erodere Renzi, il suo nome non figura. Alla luce dei primi sette mesi di governo con i calzoni corti, come vive quest’esperienza? Si va avanti alla giornata o si procede con un qualche orizzonte in mente? “Ho sicuramente un obiettivo di medio termine, perché le politiche economiche cui penso hanno per definizione bisogno di tempo. Alle politiche che stiamo mettendo in campo servono i 1.000 giorni, e non certo a me perché voglio stare più a lungo seduto su una poltrona. Piuttosto, sono convinto che entro 1.000 giorni si vedranno i risultati di quello che sta succedendo. La mia forma mentis e la mia conoscenza di altri paesi, e ne ho un po’, mi confermano che non esistono scorciatoie”.
Riforme, pazienza, fiducia. Intanto però è stato detto (D’Alema) che secondo l’economista statunitense Joseph Stiglitz non si può riformare il mercato del lavoro in un momento di crisi: “Questo è un tema con cui economisti e scienziati politici hanno riempito biblioteche. L’evidenza empirica però, mi spiace per Stiglitz di cui ho grandissima stima, non avalla assolutamente la sua versione – replica Padoan – Le riforme si fanno sia in recessione sia in espansione. Quello che cambia ai fini dell’implementazione è il consenso”. A questo punto il ministro richiama esperienza e studi che risalgono al suo periodo all’Ocse: “Ovunque le riforme strutturali di successo hanno avuto un elemento in comune: il governo è stato bravo a spiegare i suoi obiettivi, parlando direttamente ai cittadini e avendo pazienza nell’attendere i risultati”. Certo attuare una riforma in fase di crescita “facilita la trasmissione dei risultati. Se una riforma del mercato del lavoro avviene con un’economia in espansione, il guadagno in termini di posti di lavoro creati è più tangibile a breve termine. Questa è l’unica evidenza empirica che io so essere davvero robusta”.
Oggi l’economia italiana non è in fase espansiva, anzi. Eppure la linea filo deflattiva dei tedeschi diventa più aggressiva. Ieri intanto il ministro delle Finanze francese, Michel Sapin, ha confermato che Parigi non ridurrà il rapporto deficit/pil sotto il 3 per cento, come sarebbe dovuto accadere quest’anno secondo gli impegni presi con Bruxelles, ma anzi rinvierà l’obiettivo al 2017. “Tutti gli stati dell’Ue facciano i loro compiti” e “rispettino pienamente gli impegni”, ha rispoperò a distanza la cancelliera Angela Merkel. Oltre a continuare con pazienza e riforme, a Berlino si può opporre pure un ammonimento politico, magari durante il semestre europeo a presidenza italiana? Lei, per esempio, replicherebbe domani lo stesso annuncio del collega Sapin per sforare il 3 per cento in Italia? “No”, risponde deciso Padoan. L’Italia ha certificato il rinvio al 2017 del pareggio di bilancio strutturale: “Quello che accomuna Italia, Francia e altri è che la congiuntura della zona euro è molto deteriorata. Ciò rende più difficile l’equilibrio sui conti pubblici. La situazione di deflazione è un ulteriore problema per i paesi ad alto debito. Ma la nostra strategia di risanamento e riforme è diversa da quella di Parigi”. Roma si tiene sotto il 3 per cento, non solo perché c’è l’Ue: “Un paese ad alto debito deve innanzitutto rispettare i mercati. Una loro incertezza avrebbe costi assolutamente insostenibili”.
Innegabile però il peso dei richiami merkeliani. Anche alla luce del “rapporto molto buono” instaurato con il ministro tedesco, Wolfgang Schäuble, Padoan si chiede: “La Germania deve fare altre cose?”. E si risponde: “Decisamente sì. Non c’è nessun paese che non abbia un'agenda di aggiustamento. E a Schäuble l’ho pure detto”. Dopodiché proprio l’approfondita conoscenza del partner tedesco, e non solo, lo ha sempre più convinto che “il problema nell’Eurozona è di fiducia reciproca. Più che l’agenda riformatrice, conta chi la propone”. Obiezione: un paese come la Spagna, pur ristabilendo la fiducia nei propri confronti, non ha spinto l’establishment tedesco a chissà quale virata. Due giorni fa l’influente economista Hans-Werner Sinn, sul Financial Times, tesseva ancora le lodi degli effetti salvifici della deflazione: “Il meccanismo che riguarda Spagna, Portogallo, Irlanda e in parte Grecia ha molto a che fare con la fiducia. Funziona così: io ti faccio vedere che so soffrire, al costo di andare all’inferno e ritorno, e la fiducia si ristabilisce”. Effettivamente per alcuni la fiducia in cambio di sacrifici è tornata. E così oggi Roma, quando solleva in Europa il tema della “flessibilità” dei vincoli sui conti pubblici, “trova tra i paesi periferici già in austerità alcuni dei maggiori oppositori. Il ragionamento è: noi abbiamo sofferto, ora tocca a voi. E’ una questione di fiducia, anche se non è razionale”. Il governo però non vuole applicare lo “schema marxiano” visto all’opera in Spagna, “quello dell’esercito industriale di riserva”. Cioè una disoccupazione gigantesca che ha fatto abbattere i salari e riguadagnare così competitività, anche grazie alla riforma del mercato del lavoro. Dopodiché, è cambiato qualcosa a livello europeo? “No, oggi come oggi non esistono politiche europee, ma soluzioni nazionali all’aggiustamento nell’Eurozona”.
La ricetta dell’Italia quindi è “diversa”: “La via maestra per recuperare competitività è recuperare produttività. Il costo del lavoro per unità di prodotto deve scendere. Può farlo per varie ragioni: se abbassiamo i salari nominali, alle imprese i lavoratori costano meno”. E questa è “la storiella tedesca” che piace a Sinn e soci. Ma ci sono altre due vie possibili. “La prima, abbattere le tasse sul lavoro, come stiamo provando a fare, e continueremo a fare nella legge di stabilità. La seconda: investimenti ed espansione, creando un ambiente favorevole a suon di riforme”. Così si abbassa il costo del lavoro “aumentando i redditi dei lavoratori”.
[**Video_box_2**]La legge di stabilità prevederà per questo un meccanismo che consenta il trasferimento del tfr (trattamento di fine rapporto) nelle buste paga dei lavoratori? “Ne stiamo discutendo. Però sul tfr, che è un fatto solo italiano, insistono vari interessi in campo. Ci sono i lavoratori, la finanza pubblica via Inps, le imprese e i fondi pensione. Le opzioni sono complesse”. Una corresponsabilizzazione del sistema bancario è allo studio: “Le banche possono essere coinvolte. Ora quel mercato attraversa ancora una fase nervosa perché devono finire gli stress test europei, a proposito dei quali sono piuttosto ottimista. Però si possono immaginare strumenti in base ai quali i soldi in più che ci mette la Banca centrale europea siano utilizzati davvero dalle banche per fornire credito alle imprese”. Questo può voler dire “misure di garanzia fornite da parte del governo, per finanziare il pagamento dei tfr così come si fa per incentivare altri investimenti da parte delle banche. Oppure misure per favorire i cosiddetti Abs (Asset backed securities) rendendoli più trasparenti”. Si potrebbe dire che al momento l’Italia più che di strapotere della finanza soffra di scarsa inventiva della stessa: “Vero. Perciò stiamo cercando di diversificare le forme di finanziamento alle imprese rispetto al canale bancario. D’altronde le risorse finanziarie sono sul mercato, gli stati ne hanno ben poche”.
Per recuperarle, anche ai fini della legge di stabilità, si starà comunque alla larga dalle “spese incomprimibili”, come sanità e pensioni? “Ribalterei la domanda: esistono settori nei quali è impossibile trovare margini di efficienza? La mia risposta è no. Margini di efficienza si possono trovare dappertutto, sanità inclusa”. Alcuni operatori privati hanno imposto e ottenuto sconti dai fornitori, con successo. Si potrebbe replicare nel pubblico: “In prima istanza il taglio non lineare è preferibile. Poi però, se nulla si muove, si interverrà così”. A proposito di gestione delle risorse scarse: il sindaco di Elmas, nel cagliaritano, ha stanziato 12 mila euro per incentivare i giovani del suo paese ad andare all’estero per studio o formazione. Che ne pensa? “Trovo sia un modo intelligente di stanziare i soldi – conclude Padoan sorridente – Almeno la metà dei giovani beneficiari torneranno indietro e contribuiranno alla crescita del paese”.
Il Foglio sportivo - in corpore sano