Dalla Toscana, Pol Pot scrive al Foglio
Il presidente Rossi replica all’inchiesta fogliante, nega che il suo Piano per il territorio e il paesaggio sia un progetto totalitario e benecomunista, vanta padri nobili e riconoscimenti internazionali. Controreplichina di Alessandro Giuli.
Il Foglio del 30 settembre conteneva un ricco lungo inserto di Alessandro Giuli dedicato a Pol Pot reincarnato in Toscana. Titolo ingannevole. In verità era una presunta “inchiesta su un progetto totalitario” (sottotitolo ancor più fuorviante): il Piano d’indirizzo territoriale della Toscana (PIT), detto anche “Piano del Paesaggio”. E’ evidente che a lavorare di fantasia si vola e si riempiono colonne d’inchiostro. Ma si fatica ad arrivare fino in fondo al lungo dossier che vorrebbe far coincidere una “tirannide benecomunista” di ispirazione cambogiana con l’applicazione di tutele già previste da molti decenni. Vale a dire: da una legge liberale – che porta la firma di Benedetto Croce (1922) – rivista e potenziata da Bottai (1939), recepita dalla Costituzione del ’46 (art. 9, che si deve principalmente a Concetto Marchesi), ampliata dalla legge Galasso (nr. 431, 1985) e riformulata nel Codice dei beni culturali e del paesaggio (2004). Verrebbe da dire: quale Pol Pot? Forse che al Foglio avranno voglia di schierare un rivoluzionario carnefice come Saloth Sar (in arte Pol Pot) accanto a Croce, Bottai, Marchesi e Giuseppe Galasso? Ma sia, prendiamo sul semiserio la provocazione. I khmer rossi s’ispiravano alla massima di Mao: “E’ su una pagina bianca che si scrivono le più belle poesie”, e tanto per cominciare potremmo dire che questo Piano del Paesaggio non è una “pagina bianca” ma una storia lunga secoli.
Il Piano toscano, ripeto, non ha introdotto nuovi vincoli, anzi non ha fatto altro che tracciare un perimetro molto preciso di quelli già esistenti. Per risolvere contenziosi, smaltire la costosa burocrazia che vi ruota attorno e arginare l’arbitrio delle soprintendenze, fare chiarezza stabilendo cosa si può e cosa non si può fare. Altro che “tirannide”. Per tutele già esistenti si intendono le “aree sotto vincolo” ministeriale, il 17 per cento del territorio regionale cioè i cosiddetti vincoli ministeriali descritti finora in modo letterario, spesso senza perimetrazione (che in Toscana sono ben 365). Il secondo blocco dei vincoli riguarda quelli previsti dalla legge Galasso del 1985, che interessano circa il 47 per cento del territorio regionale e che in buona parte sono stati già recepiti nel 1986 dall’allora presidente (comunista migliorista) Gianfranco Bartolini, certo non sospettabile di simpatie verso estremismi di sinistra.
Con l’applicazione della Galasso si sta parlando di vincoli che insistono sui corsi d’acqua, la costa, i laghi, i circhi glaciali, i boschi dell’Appennino, le Alpi Apuane e tutte le zone archeologiche già tracciate. Un terzo blocco del nostro Piano del Paesaggio riguarda i 20 ambiti nei quali è stata suddivisa la regione, di cui il piano individua la storia, le criticità, i rischi di degrado e gli obiettivi per il suo mantenimento e, se possibile, miglioramento. Di tutto questo stiamo discutendo con le categorie economiche, tra cui gli agricoltori, e le istituzioni locali allo scopo di chiarire, semplificare ulteriormente, modificare dove necessario e trovare punti di equilibrio dove gli interessi anche particolari e legittimi chiedono di essere ascoltati. Che cosa c’entra questo con l’imbrigliare lo sviluppo?
Da Leonardo a Pompeo Neri
Chi inventa queste “genealogie incredibili” (Pol Pot e la Toscana) non conosce evidentemente la storia lunga di questa terra. Trascura ad esempio che Leonardo lavorò per quarant’anni alla deviazione dell’Arno e alla riorganizzazione dell’idrografia programmando di bonificare le aree paludose, irrigare i campi, prevenire alluvioni e dissesti idrogeologici. Che i Medici e i Lorena hanno scritto sulla pietra e sulla terra il profilo del paesaggio toscano, occupandosi di valli fangose e malariche, di rimboschimenti appenninici e di canali di bonifica. Chi ritiene che la mezzadria o le colture siano un prodotto genuino e spontaneo della terra o della sola fatica dei contadini si sbaglia. La Toscana ha vissuto una tendenza di spostamenti dall’alto verso il basso (da monte a valle s’intende), col successivo sviluppo plurisecolare della mezzadria potenziata in pianura con le bonifiche del ’700. Dal contado alla città, con lo sviluppo dei distretti produttivi nel Dopoguerra. Una storia di contrasto alla malaria, alla miseria e per l’emancipazione delle masse contadine e mezzadrili. Non ha senso dilungarsi ancora, ma ha senso invece ricordare che il paesaggio nei secoli è stato modellato dal lavoro e dalle leggi. Dalla spinta emancipatrice e dall’intelligenza di intellettuali riformatori (che si chiamavano Leonardo Ximenes e Pompeo Neri). E tanto per indulgere nella storia delle idee, di recente mi è stato fatto scoprire che 150 anni fa usciva a Firenze un libro dal titolo “Man and Nature”, opera di George Perkins Marsh, il primo ambasciatore americano in Italia, inviato a Firenze direttamente da Lincoln. Già in tempi lontani sosteneva che se non si fosse messo un freno alla deforestazione, allo sfruttamento del suolo e all’espansione dell’industria, la terra e gli uomini avrebbero rischiato l’estinzione. Un pericoloso comunista anche lui? Eppure amava la foresta di Vallombrosa, a tal punto da morirvi nel 1882. Dove, risalendo nei secoli, gli spiritualissimi monaci “forestali” vallombrosiani inventarono il “taglio raso” e la coltura dell’“abete bianco” che dal Casentino si diffuse in tutta Europa.
[**Video_box_2**]La bellezza, la cura per il verde e la cura del suolo non sono un capriccio tirannico ma l’anima della Toscana, che ha modellato il paesaggio trasformandolo coerentemente con lo sviluppo dei rapporti sociali e del modo di produrre. Oggi le minacce del territorio e del paesaggio sono il disboscamento selvaggio, le selve infestanti, le frane, le intasature e tombature dei canali, le colate di cemento nelle aree a rischio e quindi il dissesto idrogeologico e le inondazioni. Processi che dipendono in parte dai mutamenti climatici ma soprattutto da un’azione dell’uomo più attenta a ricavare utili immediati che non a creare condizioni durature di benessere e di sviluppo. Dal 1995 al 2006 l’Italia ha consumato 750 mila ettari di superficie libera, un territorio equivalente alla regione Umbria. Solo nel corso dell’ultima legislatura ho contato molti morti per bombe d’acqua e alluvioni e ho constatato quanto rapidamente procedono e distruggono le frane. Quanto poco investe lo Stato nella prevenzione e nella cura del territorio. La Toscana ha scelto invece di rilanciare l’agenda dello sviluppo a partire proprio dal territorio. In questo senso i vincoli non sono limiti ma politiche del turismo, dell’edilizia e dell’agricoltura. Se è la bellezza che richiama il mondo in Toscana, essa va non solo preservata ma soprattutto costruita in rapporto alle più recenti sfide imposte dalle nuove tecnologie e dalla competitività globale. Se il paesaggio della Toscana finisse per essere identico a quello di altre regioni del mondo anche la qualità e il valore dei nostri prodotti agricoli perderebbero di forza e fascino. Noi ci proviamo, disposti anche a correggere errori e sottovalutazioni. Questa è appunto l’antica arte del governo della sinistra in Toscana. Approfitto infine dell’ospitalità per ricordare ai lettori del Foglio che la mia regione a differenza della Cambogia di Pol Pot è anche una regina dell’export con indici economici migliori della media nazionale. In Toscana più che altrove siamo in grado di accogliere le principali multinazionali e di attrarre importanti investimenti esteri come ha riconosciuto di recente, con le seguenti parole, un temibile sovversivo d’oltreoceano: “I would also like to say congratulations to Tuscany Regional President Rossi. Enrico, you and your team have shown that with the right vision and commitment, innovation can be achieved” (Ambassador Phillips’ Speech to AmCham Florence Gala Dinner, July 08, 2014). Chissà se questa capacità di attrazione di investimenti non dipenda anche dalla bellezza del nostro paesaggio. Noi pensiamo di sì.
Enrico Rossi è Presidente della regione Toscana
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Al netto di un’apprezzabile dose di puntigliosità e ironia, il presidente Rossi replica alla mia inchiesta basandosi su un truismo che non ho mai negato: la Toscana è bella e “il PIT non è una pagina bianca ma una storia lunga secoli”. Figuriamoci per me che faccio coincidere con l’epoca degli Etruschi l’inizio della cura e della scultura paesaggistica toscana. Il punto è un altro: c’è modo e modo per mettersi in scia, mappare, classificare e proteggere un territorio. La regione Toscana lo sta facendo “coerentemente con lo sviluppo dei rapporti sociali e del modo di produrre”; frase che suona vaga e un po’ sovietizzante (quali rapporti sociali? quale modo di produzione?) e che non penso basterà ad addolcire le numerose, corali osservazioni polemiche espresse dalle categorie interessate dal PIT e spaventate dal suo retrogusto benecomunista. Tuttavia, prendo atto che dalle parti del presidente Rossi ci si dice “disposti anche a correggere errori e sottovalutazioni”. Non ci sono più i polpottiani di una volta, ed è meglio così.
Alessandro Giuli
Il Foglio sportivo - in corpore sano