Tregua per finta
Il rublo crolla ai minimi storici, le sanzioni fanno male anche alla Russia
Uno svizzero della Croce Rossa muore a Donetsk, probabilmente ucciso da un colpo d’artiglieria dell’esercito di Kiev.
Roma. Un operatore svizzero della Croce Rossa è morto ieri a Donetsk, nell’est ucraino, colpito probabilmente da uno dei colpi d’artiglieria sparati sulla città dall’esercito di Kiev. In teoria c’è ancora una tregua in vigore tra governo centrale e separatisti, ma – dopo una serie di violazioni a bassa intensità nei giorni scorsi – ieri è stata rotta con più violenza del solito. Gli abitanti di Donetsk sono tornati nei rifugi d’emergenza e i trasporti pubblici si sono fermati, mentre la situazione torna a degradare ancora una volta verso la guerra aperta e le pressioni internazionali e i contatti tra governi non riescono a strappare l’accordo di pace definitivo.
Le sanzioni americane ed europee imposte dopo l’inizio dell’intervento di Mosca nella crisi cominciano a far soffrire l’economia russa. Martedì il valore del rublo è crollato al minimo storico contro il dollaro americano (ha toccato 44,5) e contro l’euro e nei giorni seguenti la valuta non è riuscita a recuperare, restando attorno ai 40 rubli per un dollaro e quindi al livello della crisi del 1998 – che a Mosca ricordano come un periodo disastroso per l’economia. Ieri il presidente Vladimir Putin ha detto che non ci sarà alcuna restrizione temporanea sul movimento dei capitali verso l’estero – quindi non ci sarà alcun tentativo di impedire che i russi portino i loro soldi fuori dal paese – ma è un provvedimento che in questi giorni è molto discusso e temuto. Il flusso di capitali dalla Russia verso l’estero quest’anno potrebbe toccare i 120 miliardi di dollari, quasi il doppio dell’anno scorso.
Non si tratta di una sofferenza a senso unico, perché il rublo debolissimo deprime le importazioni e colpisce anche la vendita di beni all’estero dei paesi europei e quindi anche dell’Italia, che in Russia ha un forte mercato.
Quest’anno la moneta russa ha perso il venti per cento del suo valore contro il dollaro, e il 14 per cento soltanto negli ultimi tre mesi. Questo tracollo recente è dovuto in particolare alla conferma di una causa legale annunciata la settimana scorsa per nazionalizzare la Bashneft, una compagnia petrolifera che appartiene al conglomerato russo Sistema. Il capo di Sistema è il magnate Vladimir Yevtushenkov, che è stato posto agli arresti domiciliari per alcuni legami con i separatisti ucraini. Gli investitori ora temono che la Russia stia di nuovo cercando di esercitare un controllo di stato più invasivo sul settore energetico.
[**Video_box_2**]Le sanzioni internazionali portano l’economia della Russia verso la stagnazione e la previsione di crescita per il 2015 è scesa allo 0,5 per cento. Il fattore che potrebbe peggiorare la situazione è il calo del prezzo del petrolio e sfortunatamente per i russi – che ne sono grandi esportatori – è proprio quello che sta succedendo. Il budget statale di Mosca per il 2015 si basa su un prezzo di vendita previsto di 105 dollari al barile, ma il prezzo reale è sceso di 12 dollari nelle ultime dieci settimane e ora è poco sopra i novanta. Ieri il New York Times ha provato a spiegare perché il greggio sta scendendo così velocemente e tra i fattori citati c’è l’intestardimento ostile dell’Arabia Saudita, che continua a mettere sul mercato una quantità enorme di petrolio e non si cura del conseguente abbassamento del prezzo – e preferisce mantenere alta la sua quota di mercato. Ieri Reuters ha scritto che la Banca centrale russa ha cominciato a elaborare i cosiddetti “scenari di stress”, nei quali calcola cosa fare se il prezzo del petrolio scenderà troppo e non pagherà più le spese dello stato. Lo stress test si è spinto fino ai sessanta dollari al barile, ma si tratta di un crollo improbabile.
La sconfitta contro la moneta cinese
Nel 2007 Putin aveva detto che il rublo sarebbe diventato una moneta rifugio e alternativa al dollaro, ma ha poi preferito tenere una linea di sfida in politica internazionale. Questo gli ha assicurato una grande visibilità e un’espansione della sfera di influenza russa, ma ha anche esposto il rublo alle sanzioni internazionali e ha avvantaggiato il diretto rivale per il titolo, lo yuan cinese. Quest’anno il rublo ha perso cinque posizioni nella classifica delle valute più usate nel mondo e ora è al diciottesimo posto. Lo yuan cinese invece a febbraio ha scalzato il franco svizzero dal settimo posto, prorio nel giorno – nota l’agenzia Bloomberg – in cui gli “omini verdi” di Putin cominciavano le loro operazioni militari in Crimea. Questa corsa è ora naturalmente legata a cosa succederà a Hong Kong, dove il governo centrale cinese in questi giorni si trova di fronte al dilemma tra una repressione dura e un cedimento senza precedenti con gli studenti.
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