L'ultimo Augias ti fa sbadigliare molto prima della fatidica pagina 69
"Detestava la prosa paraletteraria di quei cronisti che vogliono darsi un tono da scrittori”. Il ditino ammonitore contro lo scrivere pretenzioso sta a pagina 16 dell’ultimo libro di Corrado Augias, “Il lato oscuro del cuore”. Da che pulpito.
"Detestava la prosa paraletteraria di quei cronisti che vogliono darsi un tono da scrittori”. Il ditino ammonitore contro lo scrivere pretenzioso sta a pagina 16 dell’ultimo libro di Corrado Augias, “Il lato oscuro del cuore” (Supercoralli Einaudi, per viatico verso l’entrata in classifica, non dovesse bastare la televisione, un tour promozionale). Da che pulpito: non abbiamo ancora scavallato la fatidica pagina 69 – che secondo Marshall MacLuhan serve per prendere le misure a un romanziere – e già sul taccuino degli appunti si allineano “lacerato dai dubbi”, “lama dell’indagine psicologica”, “labbra turgide”, “golfini attillati”, “ingorgo dei ricordi”.
La pagina 69 fa rimbalzare il lettore come la pallina di un flipper. Eviti “le ombre del dormiveglia” e vai a sbattere contro “il cuscino madido di sudore”. Schivi “il fruscio smorzato del traffico” e vai a scontrarti contro “l’annoiato latrare di un cane”. Ebbene sì: la protagonista Clara ha l’insonnia. Un romanziere più sicuro dei propri mezzi l’avrebbe detto così, senza sprecare una pagina in descrizioni che nulla aggiungono (e anzi tolgono, ché a furia di leggere banalità la palpebra si fa pesante e la mente si distrae).
[**Video_box_2**]Con una buona dose di masochismo – giusto il tema che questo romanzo vorrebbe sviscerare – abbiamo letto “Il lato oscuro del cuore” dalla prima all’ultima pagina. Uscendone provati. Noi, che leggiamo per mestiere. Noi, che non abbiamo mai creduto al fatto che “I libri ci rendono migliori, più allegri e più liberi”, come dice il titolo di un volumetto firmato – guarda un po’ la coincidenza – da Corrado Augias. Noi, convinti che la lettura sia uno dei più sicuri rimedi contro la noia, e che quindi un romanzo noioso non abbia ragione di esistere. Noi, che quando sentiamo il lamento su “gli italiani che non leggono”, diamo un’occhiata alle classifiche e ai banconi delle librerie, e siamo subito schierati dalla parte dei non lettori. Perché dovrebbero leggere libri che neanche il risvolto di copertina – genere letterario dove lo scrittore o chi per lui dice meraviglie del capolavoro che vi state rigirando tra le mani, incerti se sacrificare gli euro necessari – riesce a rendere interessanti?
Clara è una studiosa di psicoanalisi. Precaria, quindi finirà a lavorare in un bar di cui verranno descritti gli avventori, con relative ordinazioni di cornetti e cappuccini. Impariamo come si prepara l’espresso con la schiumetta, ma siccome non è David Foster Wallace a raccontarlo – per far l’esempio di uno scrittore che incantava, qualsiasi cosa descrivesse – ci chiediamo se tutto questo ha una ragione per occupare pagine. Non le ha, come non le avranno il forno a legna e il pizzaiolo Mustafà. Serviva un bar per fare incontrare certi personaggi che altrimenti non avrebbero avuto motivo di incrociarsi.
La studiosa studia: Freud, Jung, Breuer, Berta Pappenheim, Dora, le isteriche di Charcot alla Salpêtrière, l’immancabile Sabina Spielrein (e giù fino alla Robin Norwood di “Donne che amano troppo”). L’incauto lettore deve sobbarcarsi pagine e pagine degli scritti di Clara, oltre che lunghi virgolettati dalle lezioni del di lei maestro: a cancellare il sospetto che siano presi da Wikipedia, provvede la Nota dell’Autore in chiusura di romanzo. La signora Lina, ex attrice in pensione con spelacchiata pelliccia d’ordinanza, rimane così affascinata da tanta sapienza che dimentica di mangiare. Bello sarebbe, se capitasse anche al lettore. Che invece comincia ad avere nostalgia per la Wanda apparsa nel primo capitolo, quella con “le lacrime che salivano a pungerle le palpebre”.
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