No a sterili consolazioni
“La chiesa parli chiaro, la dottrina non si cambia”
Il card. Pell contro la svolta pastorale: “Misericordia non è tolleranza”
Questo libro è importante per molte ragioni. In particolare, nei prossimi diciotto mesi sarà necessaria una discussione, anzi un dibattito civile, informato e rigoroso per difendere la tradizione cristiana e cattolica del matrimonio monogamico indissolubile. Occorre cioè concentrarsi sugli elementi centrali delle sfide cui sono dinanzi il matrimonio e la famiglia, piuttosto che lasciarsi distrarre e indurre a una controproducente e sterile ricerca di consolazioni di breve respiro. La salute di un’organizzazione si può misurare osservando la quantità di tempo e di energia dedicata alla discussione di vari argomenti. Le comunità sane non investono gran parte delle loro energie in questioni secondarie, e purtroppo il numero dei cattolici divorziati e risposati che ritengono di dover essere ammessi alla comunione è molto ridotto. Le pressioni in direzione di questo cambiamento si concentrano soprattutto in alcune chiese europee, dove la frequentazione del culto è scarsa e dove un numero crescente di divorziati sceglie di non risposarsi. La questione è considerata sia dagli amici, sia dai nemici della tradizione cattolica come un simbolo, una posta in palio nello scontro fra ciò che resta del cristianesimo in Europa e un neopaganesimo aggressivo. Tutti gli avversari del cristianesimo vorrebbero che la chiesa capitolasse su questo punto. Entrambi gli schieramenti che prendono parte a questa discussione si richiamano a criteri cristiani e tutti sono costernati dinanzi alla mole di sofferenze che la rottura del matrimonio arreca ai coniugi e ai figli. Quale aiuto può e deve offrire la chiesa cattolica? Secondo alcuni, il compito primario della chiesa è fornire una scialuppa di salvataggio ai naufraghi del divorzio. E le scialuppe di salvataggio dovrebbero essere a disposizione di tutti, specie delle vittime innocenti di queste tragedie. Ma dove devono dirigersi queste scialuppe di salvataggio?
Verso gli scogli, verso le paludi o verso un porto sicuro, che si può raggiungere soltanto con difficoltà? Secondo altri, un compito ancor più importante per la chiesa è fornire una guida e delle buone mappe per ridurre il numero dei naufragi. Entrambi i compiti sono necessari, ma qual è il miglior modo di svolgerli? La visione cristiana della misericordia è centrale in tema di matrimonio e di sessualità, di perdono e di santa comunione, e non sorprende che in questo ottimo volume siano esposti in modo chiaro e convincente i legami essenziali fra misericordia e fedeltà, fra verità e grazia presenti nel nostro insegnamento evangelico. La misericordia è diversa da gran parte delle forme di tolleranza, che è uno degli aspetti più encomiabili delle nostre società pluralistiche. Alcune forme di tolleranza definiscono il peccato come qualcosa che sta al di fuori dell’esistenza, ma le libertà degli adulti e le inevitabili differenze non devono necessariamente fondarsi su un assoluto relativismo.
L’indissolubilità del matrimonio è una delle ricche verità della divina rivelazione. Non è un caso che nella cultura giudaico-cristiana la monogamia e il monoteismo siano associati. Il matrimonio per tutta la vita non è semplicemente un fardello, bensì una gemma, un’istituzione che dà vita. Le società che riconoscono questa bellezza e questo bene li proteggono regolarmente per mezzo di efficaci misure disciplinari. Esse comprendono che la dottrina e la prassi pastorale non possono essere in contraddizione fra loro e che non si può sostenere l’indissolubilità del matrimonio consentendo al tempo stesso ai “risposati” di ricevere la comunione. Per i credenti, riconoscere la loro incapacità di partecipare appieno all’eucaristia è indubbiamente un sacrificio, una forma imperfetta ma reale di amore sacrificale.
Il cristianesimo, e in particolare il cattolicesimo, costituisce una realtà storica in cui si preserva la tradizione apostolica di fede e di morale, di preghiera e di culto. Le dottrine di Cristo sono la nostra pietra angolare. E’ interessante che il severo insegnamento di Gesù secondo cui “quello dunque che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi” (Mt 19,6) segua a poca distanza la sua insistente perorazione rivolta a Pietro circa la necessità del perdono (cfr. Mt 18,21-35). E’ vero che Gesù non condanna l’adultera minacciata di morte per lapidazione, ma è vero anche che, lungi dall’elogiare la sua condotta invitandola a continuare così, le dice invece di non peccare più (Gv 8,1-11). Una barriera insormontabile, per chi invoca una nuova disciplina dottrinale e pastorale per l’accesso alla santa comunione, è la quasi completa unanimità su questo punto di cui la storia cattolica dà prova da duemila anni. E’ vero che gli ortodossi hanno da lungo tempo una tradizione diversa, alla quale furono originariamente costretti dai loro imperatori bizantini; ma la prassi cattolica non è mai stata questa. Si potrebbe sostenere che le discipline penitenziali risalenti ai primi secoli, anteriormente al Concilio di Nicea, fossero troppo severe nel discutere se la chiesa potesse riconciliare i colpevoli di omicidio, adulterio o apostasia con la loro comunità locale una sola volta oppure mai. Si è sempre riconosciuto che Dio sa perdonare, anche quando la possibilità della chiesa di riammettere i peccatori in seno alla comunità era limitata. Tale severità era la norma in un’epoca in cui la chiesa accresceva il numero dei suoi seguaci malgrado le persecuzioni. Non è possibile ignorarla, così come non è possibile ignorare gli insegnamenti del Concilio di Trento o quelli di San Giovanni Paolo II o di Papa Benedetto in materia di matrimonio. Le decisioni seguite al divorzio di Enrico VIII furono davvero del tutto inutili?
[**Video_box_2**]Quest’opera contiene un’analisi penetrante delle cause culturali della disgregazione della famiglia nell’odierna cultura pansessuale e gli autori hanno ragione quando affermano che la cosa più importante, di fronte a un’epidemia, è una diagnosi corretta! Una tesi è che il divorzio è la rivoluzione sociale più importante dell’epoca moderna, ed è fuor di dubbio che la crisi del matrimonio rispecchi la crisi della fede e della pratica religiosa. Ma qual è la gallina e qual è l’uovo? Oltre all’intuizione, ormai confermata, che una fede infiacchita significhi meno figli, penso sia altamente probabile che la decisione di non avere figli, o di averne pochissimi, produca essa stessa un grave indebolimento della fede. L’un fenomeno influisce sull’altro. Attualmente ci troviamo, in un certo senso, in una situazione nuova, che non ha uguali dai tempi del Concilio Vaticano II. In questa nuova situazione, perfino alcuni membri del clero offrono una gamma sempre più vasta di opzioni morali. Se ciò ha dei vantaggi, nella misura in cui un numero crescente di persone che prima se ne disinteressavano adesso cominciano a discutere delle tesi cristiane, d’altra parte comporta inevitabilmente dolore e ferite. Coloro che credono nella tradizione, come gli autori di questo volume, sono da elogiare quando affermano le proprie convinzioni in modo calmo e caritatevole. La canzone migliore continua a essere la nostra. Adesso dobbiamo anche operare per evitare che si ripeta quanto avvenne dopo la promulgazione dell’Humanae Vitae nel 1968. Dobbiamo parlar chiaro, perché quanto prima i feriti, i tiepidi e gli esterni si renderanno conto che un cambiamento sostanziale della dottrina e della pastorale è impossibile, tanto più riusciremo ad anticipare e dissipare la delusione ostile che inevitabilmente seguirà la riaffermazione della dottrina.
Pubblichiamo la prefazione al libro “Il vangelo della famiglia nel dibattito sinodale. Oltre la proposta del cardinal Kasper”, di Juan José Pérez-Soba e Stephan Kampowski, edito da Cantagalli e presentato ieri presso l’Istituto Giovanni Paolo II per Studi su matrimonio e famiglia.
George Pell è cardinale prefetto della Segreteria per l’Economia, arcivescovo emerito di Sydney
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