Pechino vuole una tipa dura (ma flessibile) per gestire Hong Kong
Se Hong Kong è femmina, forse il destino vuole che sia governata da una donna.
Hong Kong. Se Hong Kong è femmina, forse il destino vuole che sia governata da una donna. Il passaggio di testimone non è ufficiale, ma lo psicodramma formato conferenza stampa andato in onda sui canali di tutto il mondo nella tarda serata del primo ottobre emana segnali politici precisi: alle 23 e 30, mezz’ora prima della scadenza dell’ultimatum fissato dai movimenti per le sue dimissioni, il governatore di Hong Kong Leung Chun-ying (Chief executive è il termine usato nella complessa amministrazione dell’ex colonia britannica) ha detto che non mollerà. Poi, con espressione tirata, ha passato la palla alla sua vice, Carrie Lam, 57 anni, incaricata di fissare un incontro con gli studenti che da una settimana paralizzano il terzo centro finanziario del pianeta con richieste di suffragio universale e maggiore indipendenza dalla Cina. Tra i manifestanti assembrati a migliaia fuori da Tamar, di fronte al palazzo del governo di Hong Kong, la voce si è sparsa a velocità da social network: “Adesso dobbiamo vedercela con Carrie” è l’opinione più diffusa tra gli attivisti di Occupy Central. Gli studenti hanno ufficialmente rifiutato l’incontro con lei ieri notte, conseguenza degli incidenti del pomeriggio, nei quali manipoli anonimi di cittadini – forse al soldo di Pechino, forse no – hanno spaccato molte teste tra le fila dei nonviolenti di Occupy Central. Ma in questa fase convulsa tutti i fattori congiurano verso il battesimo di un nuovo personaggio politico: la Lady di Bambù di Hong Kong.
La voce della piazza corrisponde in pieno alla versione che circola tra le sofisticate élite di Hong Kong. Leung non sa gestire la situazione. Leung ha sguinzagliato uno dei corpi di polizia più rispettati del mondo a gasare i ragazzini in mondovisione. Leung è un morto che cammina, soprattutto per Pechino, il vero master and commander della situazione. Ora, al comando, c’è Carrie Lam.
Per capire chi è bisogna addentrarsi nelle viscere della società hongkonghese, un groviglio di Asia e passato coloniale britannico sul quale pesa un’oligarchia di famiglie globalizzate in bilico tra anglosfera in declino e sinosfera alla riscossa. Lam non appartiene all’aristocrazia di Hong Kong, proviene da un retroterra di classe lavoratrice, ma è stata capace di scalare le gerarchie come funzionario amministrativo tanto sotto la dominazione di Londra che dopo l’handover del 1997, quando la metropoli è diventata una regione amministrativa speciale controllata dalla Cina. Una donna capace di svolgere la sua funzione tanto per Londra che per Pechino è senz’altro flessibile, ma mantiene un’anima inscalfibile, proprio come il bambù.
Di lei si sa che ha frequentato le scuole cattoliche della città, ma si è sempre mantenuta ideologicamente incolore. Alcuni anni fa è stata lambita da uno scandalo politico che a Hong Kong ha mietuto diverse vittime: il fronte pro Pechino accusava democratici e liberali vari di essere al soldo dell’occidente. La prova? I doppi passaporti di tutti i personaggi coinvolti, che mostravano una doppia cittadinanza Hong Kong/Gran Bretagna, Hong Kong/Stati Uniti, Hong Kong/Canada. Carrie Lam, per quanto si sappia, è solo cittadina hongkonghese, ma il marito e i figli vivono a Londra con doppio passaporto, al sicuro dalle intemperie asiatiche.
[**Video_box_2**]Dopo la fine dell’amministrazione coloniale britannica, nel 1997, Pechino ha divorato tutti i governatori che si sono avvicendati al timone di Hong Kong: Tung Chee Hwa è stato costretto a dimettersi dopo le proteste del 2003 su una legge per aumentare i poteri della polizia, molto inferiori alle manifestazioni di questi giorni. La fine del suo successore, Donald Tsang, è ancora sconosciuta, ma di lui si dice che sia incarcerato in Cina, a Shenzhen, con l’accusa di corruzione. La fine di C. Y. Leung sembra segnata dalle proteste dell’ultima settimana: Pechino probabilmente lo farà dimettere nei prossimi mesi. Il potere sta passando a Carrie Lam, almeno per il momento. Le toccherà gestire Hong Kong, una metropoli ineguagliabile che Pechino ha sempre percepito come un corpo estraneo.
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