Londra vuole riprendersi la giustizia dalle mani dei felloni di Strasburgo
“Una distorsione dei diritti umani che nuoce al Regno Unito”. Così il ministro della Giustizia inglese, Christopher Grayling, ha spiegato sul Financial Times il progetto britannico di uscita dalla Convenzione europea dei diritti umani.
Roma. “Una distorsione dei diritti umani che nuoce al Regno Unito”. Così il ministro della Giustizia inglese, Christopher Grayling, ha spiegato sul Financial Times il progetto britannico di uscita dalla Convenzione europea dei diritti umani. Sarebbe un cambiamento storico e un colpo durissimo al “Behemoth di Bruxelles”, come l’ha chiamato la stampa inglese. “La Gran Bretagna potrebbe uscire dalla Convenzione europea dei diritti umani”, ha dichiarato il premier David Cameron. Ma sono contrari laburisti e Lib-Dem.
La Convenzione europea dei diritti umani è entrata a far parte della legge inglese nel 1998, durante l’esecutivo del laburista Tony Blair e mediante lo Human Rights Act, che adottò la convenzione come Bill of Rights, riconoscendo dunque ai diritti sanciti da questa convenzione una “veste” costituzionale. E questo è un problema per la sicurezza di Londra. Due gli esempi. La protezione dei soldati di Sua Maestà impegnati all’estero e l’estradizione di terroristi islamici detenuti nel Regno Unito. Secondo Grayling, nelle mani della Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo, la Convenzione è stata trasformata in “un’arma di attivismo giudiziario”. Attivismo liberal.
Il caso più noto è l’articolo otto, il cosiddetto “diritto a una vita privata e familiare”. Questo articolo oggi è regolarmente usato dalle associazioni che difendono gli immigrati clandestini e i terroristi da estradare per evitarne la deportazione, anche se il testo originale era destinato a fare riferimento soltanto alla sorveglianza statale e alla coercizione, pegno orwelliano contro i totalitarismi novecenteschi (la Convenzione è del 1950). Per dirla con il Daily Mail, “un documento scritto per prevenire gli orrori dei campi di concentramento nazisti è diventato una carta dei valori per criminali e gruppi politicamente corretti”.
Cameron pensa a un “British Bill of Rights” e al ripristino del diritto d’appello finale esclusivamente dinanzi alla Supreme Court britannica, e non a quella di Strasburgo. Il ministro Grayling ha detto che “le persone che hanno scritto la convenzione originaria dei diritti umani in questo momento si stanno rivoltando nella tomba”. Il Daily Telegraph scrive che l’Inghilterra non deve niente a Bruxelles sui diritti umani. Nel 1628 ci fu la “petizione dei diritti”, nel 1679 gli “atti dell’Habeas Corpus”, nel 1689 la “dichiarazione dei diritti”. Perché non tornare alla gloriosa British Law contro il sussiegoso diritto all’europea? Inoltre, la Corte europea dei diritti umani è spesso composta da rappresentanti di paesi la cui popolazione è più piccola di Islington, il quartiere di Londra.
[**Video_box_2**]E sono molte le sentenze europee che hanno spinto i conservatori a proporre questo progetto. Come quella con cui la Corte di Strasburgo ha detto che feroci ergastolani inglesi come Jeremy Bamber, rinchiusi senza alcuna prospettiva di rilascio, sono sottoposti a “trattamenti inumani e degradanti”. O come il caso “Al Jedda and Al Skeini vs Uk”, dove Strasburgo stabilì che i terroristi iracheni nelle mani degli inglesi erano soggetti alla giurisdizione europea. Non è stata soprattutto digerita dal governo di Cameron la sentenza con cui i giudici di Strasburgo hanno annullato la decisione di rimpatrio ai danni di Abu Qataba, il terrorista giordano ai vertici di al Qaida che secondo i servizi inglesi “raccoglieva denaro, incoraggiava la gente a uccidere, rivendicava assassinii”. Ad Amman, l’uomo avrebbe rischiato la tortura, così a Londra i giudizi europei hanno ordinato di tenersi il detenuto. “Ignorate la sentenza e mettetelo su un aereo”, replicò l’Express.
Alla fine il guerrasantiero ci è salito su quell’aereo, ma Londra adesso vuole lo scalpo della giustizia europea. I felloni di Strasburgo non valgono i parrucconi della Magna Charta.
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