La home page di Ello

40 mila all'ora

Piero Vietti

Ello, l’ennesimo social anti Facebook è cool, gay friendly e senza pubblicità. Può funzionare.

A giorni alterni Facebook viene dato per spacciato da esperti, giornalisti, analisti e passanti. Ogni nuovo social network che nasce, o quasi, viene dipinto per un po’ come l’anti Facebook, quello che sposterà finalmente milioni di utenti lasciando la piattaforma inventata da Zuckerberg in una landa desolata al pari di Second Life, MySpace e Google+. Poi però succede che Facebook continua a crescere, a guadagnare e a far parlare di sé, e i nuovi social network spariscono o vanno a occupare più o meno grandi nicchie digitali se non vengono prima comprati dalla stessa Facebook.

 

Da qualche giorno si fa un gran parlare di Ello, social network cool e politically correct che promette più privacy ai suoi utenti e nessuna interferenza pubblicitaria. Fondato qualche mese fa da un gruppo di hipster creativi capitanati da Paul Budnitz, al momento non è ancora pubblico ma a invito e si può fare richiesta di accesso dopo aver idealmente approvato il manifesto che fa con furbizia sua la lamentela dominante contro Facebook e i suoi simili: “Il social network che usi di solito è di proprietà degli inserzionisti – recita l’elegante scritta bianca su sfondo nero della pagina di benvenuto – Ogni post che condividi, ogni amico che aggiungi e ogni collegamento che fai vengono monitorati, registrati e convertiti in dati. Gli inserzionisti acquistano i tuoi dati in modo da poterti mostrare sempre più annunci”. Non è una rivelazione, tutti ormai sappiamo che la privacy sui social network è finzione, e che esistono algoritmi che sanno calcolare anche che cosa mangeremo questa sera a cena e se ci piacerà. Il fatto è che finora nessuno aveva provato ad andare oltre alla denuncia, lasciando noi utenti preoccupati senza vie d’uscita. Ello parte proprio da qui – “Tu sei il prodotto che viene comprato e venduto” – e rilancia: “Crediamo che ci sia un modo migliore. Noi crediamo nell’audacia. Noi crediamo nella bellezza, nella semplicità e nella trasparenza”. Parole convincenti, molto mainstream e icasticamente anti Facebook. Ello “non è uno strumento per ingannare, obbligare e manipolare, ma un posto per collegare, creare e celebrare la vita. Tu non sei un prodotto”.

 

Il messaggio funziona, almeno per il momento, proprio perché va a colpire il nervo scoperto degli utenti che si sentono troppo controllati, anche se – lo scriveva Matt Perl su Social Media Today – bisognerà vedere se da qui può nascere una nuova generazione di consumatori “diversi”. L’idea di non essere controllati e svenduti piace agli utenti (anche se i 435 mila dollari raccolti dalla società di venture capital FreshTracks, come raccontava Wired qualche giorno fa, hanno fatto venire parecchi dubbi a diversi analisti sull’effettiva futura indipendenza del social network), così come quella di avere una bacheca e una timeline intonse e libere da pubblicità invadenti e inutili. Leggendo nelle note sulla privacy del sito scopriamo che Ello non venderà mai le nostre informazioni a terze parti, ma si riserva il diritto di condividere con esse alcune informazioni, se per esempio un utente comprerà qualcosa attraverso il social (il che non esalta i fanatici della privacy).

 

La domanda che tutti hanno in mente leggendo di Ello se l’è fatta il Financial Times: da dove arriveranno i ricavi? Budnitz, il fondatore, sostiene che centinaia di iscritti a Ello lo supplicano di poter pagare per avere servizi aggiuntivi. Servizi aggiuntivi che in realtà già ci sono su altri social network, per cui non si capisce come si possa trovare abbastanza gente disposta a mettere soldi per avere quel che altrove già avrebbe gratis. Budnitz però ostenta ottimismo, e nelle scorse settimane ha visto le richieste di registrazione a Ello aumentare a dismisura (ha parlato di circa 40.000 nuovi utenti all’ora).

 

L’impresa è coraggiosa, forse folle, abbastanza hippy e molto gay friendly: nei giorni scorsi si è assistito a un piccolo esodo da Facebook di quegli utenti che sul social network di Zuckerberg si presentavano con i nomi “di battaglia” perché drag queen o transessuali. Le nuove regole sulla trasparenza nei profili impedivano la registrazione a Facebook con un nome diverso da quello reale, da qui la rivolta delle drag queen, il tam tam nella comunità gay e la fuga verso Ello, dove ci si può iscrivere con un nickname di fantasia, nascondere la propria identità (il simbolo del social è una faccina nera senza occhi e con un solo sorriso bianco) e parlare di quel che si vuole, con le solite debite eccezioni: Ello è sì “porn friendly”, ha detto Budnitz, ma ha regole molto ferree sull’hate speech, i troll, lo spam e le minacce ad altri utenti. Facebook ha immediatamente accolto le proteste delle drag queen modificando la propria privacy, ma ormai si stava parlando di Ello ovunque.

 

Brand e imprese più o meno famose si sono subito gettate fameliche sulla novità del momento, creando profili aziendali, sperando forse di poter aggirare in questo modo l’assenza di pubblicità sulle bacheche degli utenti. Ma poiché Ello non funziona come Facebook, a meno che gli iscritti non seguano questi brand, nessuno lo verrà a sapere, spiegava il blog BetaBeat del New York Observer. Sarebbe stata la fine immediata di Ello, così non sarà.

 

Funzionerà? Will McInnes, responsabile marketing di Brandwatch, società di analisi dei social media, diceva al Financial Times che “nessun soggetto può rimanere per sempre senza pubblicità e la maggior parte delle aziende, social media o altro, prima o poi deve affrontare gli investitori e fare ciò che chiedono”.

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  • Piero Vietti
  • Torinese, è al Foglio dal 2007. Prima di inventarsi e curare l’inserto settimanale sportivo ha scritto (e ancora scrive) un po’ di tutto e ha seguito lo sviluppo digitale del giornale. Parafrasando José Mourinho, pensa che chi sa solo di sport non sa niente di sport. Sposato, ha tre figli. Non ha scritto nemmeno un libro.