L'amore dei dèmoni

Annalena Benini

Si può raccontare una storia d’amore anche dentro la storia del male, si può riuscire a parlare del più profondo amore dentro il più profondo male. La storia vera, folle e innevata di Hermann e Carin Göring nell’ultimo romanzo di Buttafuoco.

    Si può raccontare una storia d’amore anche dentro la storia del male, si può riuscire a parlare del più profondo amore dentro il più profondo male. Dentro l’orrore dei giorni, e della storia, c’era una donna bellissima, innamorata di un eroe, un aviatore, incontrato a Stoccolma in una sera di neve. Lei era una baronessa svedese desiderosa di sogni, bionda e dalla salute fragile, accompagnata già allora dall’ombra della morte, lui sfidava le tempeste nei cieli e non aveva paura di niente, aveva combattuto nella Grande guerra nella leggendaria squadriglia del Barone Rosso, era il suo erede, ma era affamato di altri applausi. Il suo nome dà i brividi, ma Pietrangelo Buttafuoco ha saputo raccontare la follia di due amanti che l’amore rende ciechi e bisognosi soltanto di stare l’uno accanto all’altro: Hermann Göring, numero due del Terzo Reich, diventa in questo romanzo che è una storia vera (“I cinque funerali della signora Göring”, Mondadori) la scia dello sguardo di lei, che lo amava davvero e per lui rinunciò a tutto, anche alla vita.

     

    E’ il destino folle e mostruoso di un uomo che ha cercato di essere all’altezza di quella dea delle nevi, e di salvarla, senza riuscirci, riuscendo solo, alla fine di tutto, a salvarne i resti. Hermann e Carin Göring divennero perfino, sul finire dei giorni di Carin, il cui respiro era sempre più debole e malato, propaganda per la nuova Germania: lei pallida e splendente, lui dipendente dalla morfina e completamente pazzo di lei, bugiardo, disperato, megalomane (aveva già tentato di uccidersi, era già stato ricoverato in un ospedale psichiatrico). Ma questa è una storia d’amore, e l’amore non li ha lasciati mai, nemmeno mentre Carin lo implorava di disintossicarsi (“datti una sosta”, gli scriveva nelle lettere che sono state conservate e Buttafuoco ha tradotto, “sforzati di liberarti, io penso sempre e solo a te”). Si conobbero in quella sera di neve, lui aveva un giubbotto di cuoio, lei trentadue anni, un marito, un figlio piccolo, si scioglieva i capelli, tossiva e fingeva di non guardarlo, ma poi salì sull’aereo e volò via con lui (“Sono io ad amarti, io”, gli disse). Lasciò tutto, anche il figlio, rinunciò alle cure, alle pellicce, al lusso che spettava a una baronessa, e fu felice. Andò incontro, scrive Buttafuoco, all’incredibile destino di una divinità del male.

     

    [**Video_box_2**]Questo libro racconta soprattutto di lei, che nella foto in copertina è seduta su una sdraio sul ponte di un piroscafo, con le gambe rannicchiate vicino al corpo, e lo sguardo azzurro. La foto fu la copertina di Life, allora, e accanto a lei c’era il male assoluto, Adolf Hitler. Non si può prescindere dalla storia e dall’orrore, ma per capirla si deve raccontare anche questo angolo insolito, la storia privata che travolse un uomo e una donna incapaci di stare lontani. Hermann Göring, quando incontrò Carin, non era più un soldato, era un eroe sfaccendato e senza quattrini: visse una bohème appassionata con la donna che era il suo fuoco, in appartamenti-topaia pieni di spifferi dove preparava le iniezioni di medicine per lei, adagiata sul letto, fiduciosa fra le sue braccia, e chiedeva in prestito l’auto al farmacista per portarla a respirare aria buona. Furono quelli i giorni felici, in cui il male era lontano. Ma Carin von Fock aveva sconvolto la sua famiglia, aveva perso l’amore di suo padre, aveva, negli anni Venti in Svezia e Germania, dato scandalo. E lo scandalo non finì mai, perché l’ex marito non smise di amarla e di spedire denaro, a lei e al suo amante, a cercare di convincerla a tornare, a rendersi noioso e a renderla feroce (“Com’è possibile che tu non riesca a ridere di una battuta senza una spiegazione che duri due giorni?”). Erano due dèmoni, scrive Buttafuoco, erano due amanti che si guardavano sospirando, si stringevano le mani, e andavano allacciati verso la fine. Lei morì nel 1931, a quarantatré anni, dopo avergli chiesto di allontanarsi. Lui non accettò mai di non essere stato lì.

    • Annalena Benini
    • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.