Parti asociali
Il ceo di Amplifon, Moscetti, contro Confindustria e sindacati “tifosi e corporativi”. “A Renzi diano idee”.
Roma. “Confindustria, con la sua opposizione preconcetta all’anticipo del trattamento di fine rapporto (tfr) in busta paga, ha perso l’ennesima buona occasione per dimostrare che serve a qualcosa”. A sostenerlo è Franco Moscetti, ceo di Amplifon, multinazionale italiana che distribuisce e personalizza i noti apparecchi acustici, quotata a Piazza Affari e con quasi 11.000 tra dipendenti e agenti nel mondo, di cui 1.300 in Italia. In una conversazione con il Foglio, il manager originario di Tarquinia (provincia di Viterbo) esordisce dalla discussione in corso sul tfr per illustrare quello che lui ritiene un “morbo” che colpisce le parti sociali, e in generale “la classe dirigente” del paese: “Troppo tifosi”. Alla politica “chiedono molto” salvo poi “fomentare spesso l’anti politica”. “Poco propositivi, troppo corporativi”. Ma andiamo per ordine, il tfr.
“La riforma del lavoro è fondamentale, ma da sola non basta – è il ragionamento di Moscetti – Nel nostro sistema devono ripartire domanda e consumi. Se io domani, per paradosso, avessi la possibilità di far lavorare gratis 100 persone qualificate, non è detto che riuscirei a farne tesoro. Se invece vendessi 100 protesi in più… Insomma, è molto banale, ma far ripartire i consumi non può non essere una priorità dei rappresentanti degli industriali e dei lavoratori. Il governo Renzi lancia una proposta che va in questo senso, anticipando una parte del tfr dei lavoratori in busta paga, e s’odono soltanto ‘no’. No perché sarà un problema come tassarlo. No perché le piccole imprese usano il tfr per la cassa, eccetera”. Moscetti, che Confindustria l’ha abbandonata nel 2009, suggerisce un altro approccio: “Già oggi, quando il lavoratore chiede il tfr per ragioni particolari, la tassazione rimane agevolata. E poi le piccole imprese, visto che la misura non sarebbe retroattiva, si potrebbero attrezzare per il futuro, cambiando il modo di fare azienda. Tutti, con la crisi, si sono adattati, famiglie e lavoratori inclusi”. Così Confindustria e sindacati “dovrebbero lavorare alle condizioni per rendere fattibile la proposta”.
Ieri però Maurizio Landini, segretario generale della Fiom-Cgil, ha minacciato piuttosto “l’occupazione delle fabbriche”: “Se andiamo avanti così, con questa crisi e con queste parti sociali tutt’altro che propositive, le fabbriche presto non ci saranno più. Qualcuno lo dovrebbe dire a Landini…”, replica Moscetti.
[**Video_box_2**]Amplifon, con Moscetti nel ruolo di ceo, è uscita da Confindustria nel 2009. “Due anni prima di Sergio Marchionne”, rivendica il manager, in passato tra gli animatori di Assolombarda. I capi d’accusa verso l’associazione degli imprenditori, riportati in un’intervista al Sole 24 Ore di allora, erano i seguenti: elefantiasi della burocrazia interna e annessi costi esorbitanti, potere sempre più strabordante delle partecipate pubbliche, tendenziale penalizzazione delle medie imprese private. Ancora oggi Moscetti è critico verso Viale dell’Astronomia, ma non crede a una riduzione delle parti sociali a un ruolo “ancillare”: “Confindustria sia apertamente la lobby degli industriali. Ma in modo propositivo”. Un suggerimento non richiesto che vale per altri esponenti dell’establishment che “mostrano di stancarsi subito di ogni nuovo presidente del Consiglio e diventano impazienti”. Ce l’ha con Diego Della Valle, patron di Tod’s che ha addirittura fatto intendere di voler scendere in politica contro Renzi? “Ognuno dovrebbe fare bene il suo mestiere, invece che fare male quello degli altri. Della Valle dà l’impressione di voler insegnare come si fanno i giornali, come si sta in banca, come si fanno le automobili… Adesso pure la politica?”. Continua Moscetti: “Il problema è che, con l’attuale presidente del Consiglio Renzi, nel dibattito pubblico è tornata la tendenza a dividersi in tifoserie, come accadeva con Silvio Berlusconi”. Non è l’unico aspetto poco razionale che caratterizza l’establishment italiano: “Guardi, io dico chiaramente che faccio parte di una generazione che nel suo complesso ha fallito. Se fosse una squadra, qualcuno potrebbe dire che quel terzino ha giocato meglio o quell’attaccante peggio, ma per certo lasciamo alle future generazioni una situazione peggiore di quella che abbiamo noi – dice Moscetti – Se questo non è un fallimento, allora cos’è?”.
Partendo da questa assunzione collettiva di responsabilità, il ceo di Amplifon si chiede: “Con quale legittimità imprenditori e sindacalisti possono addossare ora tutta la responsabilità alla politica? I politici li abbiamo votati noi. Con i politici hanno trattato a lungo le parti sociali. Se Renzi propone un rinnovamento della classe dirigente, non possiamo che dirci d’accordo. Lo dico pure contro il mio interesse”. 63 anni, Moscetti due anni fa partecipò a una cena milanese organizzata da Davide Serra con guest star Matteo Renzi, allora non ancora premier: “Mi fece una buona impressione. Da allora non l’ho più sentito. Posso solo auspicare che non diventi schiavo del consenso. Altrimenti sarà presto uno dei tanti”, conclude Moscetti.
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