Paolino, i ricchioni e i direttori
Sputazzate in faccia, femminielli devoti, maestri di braccio ma senza cervello, editori timorosi. Gli Stones sì, David Bowie no. Così chiacchiera il sommo Isotta, che ha più nemici di Truman Capote ma non gl’importa.
Camillo Langone: Paolo, o Paolino come ti firmi affettuosamente nella dedica, adesso ho capito chi sei, sei il nostro Truman Capote, a cui assomigli anche fisicamente. Penso al Capote di “Preghiere esaudite” che mettendo in piazza i segreti del jet-set (si chiamava jet-set) newyorchese si vide improvvisamente emarginato da tutti. Con “La virtù dell’elefante”, il libro di memorie dove metti in piazza te stesso, i tuoi nemici e un po’ anche i tuoi amici, non temi di esserti fatto terra bruciata?
Paolo Isotta: Ottimo Camillo! Io Truman Capote! Ma nemmeno san Gennaro potrebbe fare un miracolo simile! Truman Capote è un sommo scrittore e io tiro la carretta, sono un buon scrittore perché conosco l’italiano e il latino: nulla di più.
L: Chissà se Capote conosceva il latino. Ma insisto a credere che non avesse più nemici di te.
I: Io credo di non aver nemici, o di averne pochissimi, mentre la grazia che mi viene da san Gennaro è di avere una gran quantità di amici carissimi. Io non credo di aver messo gli amici alla berlina: certo alla berlina posso aver messo qualche conoscente, nessun amico. Quindi, di che terra bruciata cianci (e scusa se adopero questo verbo estremo)? Io ho il privilegio di poter considerare amici solo quelli che mi piacciono perché del resto me ne fotto. Il mio libro, come ha detto un fine scrittore, non è un libro contro, è un libro pro, onde grazie a esso il numero degli amici non potrà che crescere.
L: Ammiro il tuo ottimismo. Io che sono pessimista se avessi scritto “Non amo i calabresi: di solito sono antipatici e hanno un fondo di rancore” oppure “Gli Isotta, per quanto piemontesi, non erano sciocchi”, sarei convinto di essermi inimicato intere regioni. Certamente non ti è amico Carli Ballola, che picchiasti una notte in via Camerelle a Capri perché ti aveva criticato sull’Espresso. Credo ti voglia male anche Bruson, che cercò di strozzarti in un camerino dell’Arena di Verona.
I: Ti sarò grato se mi farai spiegare bene la cosa.
L: Sono qui per questo.
I: Bruson mi aggredì perché avevo scritto che sconosceva il solfeggio, il che, almeno in quella circostanza, era vero. Carli Ballola lo presi a calci e sputazzate in faccia. Ma qua la cosa è più complessa. Egli mi aveva nel passato calunniato (bada bene: calunniato, non diffamato) ed era venuto da me in lagrime pregandomi di non agire e dichiarandosi pentito. Ciò due volte, non una. Quando uscì “Il ventriloquo di Dio”…
L: Il libro dedicato a Thomas Mann e alla sua fascinazione per Wagner, il nazismo, l’omosessualità…
L: Sì. In quel periodo ero in grandissima difficoltà, avevo perso il Corriere della Sera ed ero stato bocciato al concorso universitario. Bisognava darmi il colpo di grazia e Carli Ballola si fece il brutale calcolo di dare una mano ai salotti (dai quali sperava di essere ricuperato, come in effetti fu) contro di me. Scrisse un pezzo grondante ipocrisia nel quale mi prendeva in giro. Raggiungerlo fu meraviglioso. Era una fine settembre, a Capri, lui si trovava lì perché in giuria del Premio Italia. Io non feci altro che appostarmi a via Camerelle. E Carli Ballola passò.
L: Insomma un agguato. Non te ne sei pentito?
I: Ne sono fierissimo!
L: A proposito di violenza. Nel libro racconti di quando le donne dei bassi napoletani si inorgoglivano perché il marito le picchiava, e mostravano fiere i lividi: segni, in effetti, di vivace interessamento. Sbaglio o anche a Napoli quel tipo di donna, a forza di sentir parlare in televisione di femminicidio, si è estinta?
I: Come hai ragione, si è estinta! Certo, alla base c’era dell’egoismo maschile (non dirò mai maschilista), ma era un modo ctonio di concepire la vita, certo più legato a quelle radici animalesche nostre che però ci furono donate da Dio.
L: Sbaglio o a Napoli si sono estinti o semiestinti pure i femminielli? Nel libro ne parli molto: la loro devozione, la loro partecipazione ai matrimoni del popolo, il nesso con i sacerdoti di Cibele. Saranno stati spazzati dalla modernità, dall’omosessualità irreligiosa che si identifica nella parola americana di tre lettere.
I: Vedi, anche qui si tratta d’una concezione della vita immemorabilmente antica. E non è solo ctonia, è anche pan-religiosa. Ma se da un panteismo passiamo alla nostra religione, Cristo s’è incarnato anche per i femmenielli, la sua infinita bontà vuole che lo sia anche per i gays, che sono tristi femmenielli ideologici…
L: Bella questa, tristi femminielli (o femmenielli, come dici tu certo più correttamente) ideologici…
I: Siccome non sono perfetto, pur sapendo che in purgatorio mi troverò pure con loro aggiungo qualche migliaio di anni a quelli che mi toccano dichiarando che mi fanno pena!
[**Video_box_2**]L: Nei ringraziamenti scrivi che ben sei editori hanno rifiutato di pubblicarti per timore di querele. Temo avessero ragione. Prendi Piero Buscaroli, noto querelomane (dopo che gli dedicai una pagina di elogio minacciò di querela anche me). Passi definirlo “un grande scrittore ma non un grande uomo”, ma scrivere delle sue amanti napoletane mi sembra pericoloso.
I: E’ un déjà vu anche mio, m’è accaduta la stessa cosa dieci anni fa. La minaccia giunse al direttore del Corriere dopo un mio articolo superelogiativo incastonato in una pagina intera da me preparata che lanciava il suo meraviglioso “Beethoven”, allora in uscita. Questa volta da Buscaroli non tanto m’attendo querele quanto la richiesta di sequestro del libro.
L: Eppure fai un grande elogio del padre, Corso Buscaroli.
I: Sì, gli faccio un monumento per tabulas. Fu eroico combattente, martire della Repubblica sociale e sommo latinista… Tolto il caso Busca, io credo che tu parli di querele in senso atecnico: il libro è stato letto da civilisti e penalisti confessati e comunicati. No, il timore di azioni legali invocato dagli editori è solo un basso pretesto a giustificare il rifiuto.
L: E quella sfilza di personaggi della Napoli ricchiona, come la chiami felicemente tu? Li classifichi “ricchioni sposati” e spero per te che siano tutti morti: ma non ci sono vedove che potrebbero adontarsi?
I: Morti o vivi, a Napoli non si fa querela per così poco…
L: Io temevo che fossi omosessuale, invece nel libro racconti anche relazioni con donne, quindi ti si potrebbe definire bisessuale, giusto?
I: Tu lo dici.
L: Racconti di aver sverginato una ragazza irlandese all’hotel Sacher di Vienna, che poi non sposasti perché la madre, moglie di un pilota che aveva bombardato Napoli, pretendeva una tua dichiarazione di fede antifascista. Ti sei pentito di essere rimasto signorino?
I: Scherzi? Ringrazio sempre san Gennaro! Io sono inadatto costituzionalmente alla vita di coppia.
L: Io e te condividiamo una cosa: non riusciamo a parlare con le lesbiche. E’ vero che nell’85, a una cena, Susan Sontag ti fece una domanda e tu non le rispondesti?
I: La cosa precisa è così: voleva parlare di Thomas Mann e figurati se di Mann io parlo con una lesbica nuovayorchese! Però trent’anni fa ero più educato: invitata la Sontag dal mio ospite a Capri, mi ci sedetti a tavola, adesso mi siedo solo con chi dico io.
[**Video_box_2**]L: Condividiamo anche l’amore per la liturgia. “Non so se la sua scomparsa dalla chiesa attuale sia causa o effetto della de-cattolicizzazione del mondo contemporaneo: probabilmente ambo le cose”, scrivi. L’altra domenica sono capitato in una messa cattochitarristica (la chitarra, meglio se elettrica, mi piace molto in contesto dionisiaco, mentre in contesto cristiano specie se è ritmica la percepisco immediatamente come sacrilega). Quando alla consacrazione mi sono inginocchiato, solo io in una chiesa piena, mi sono come te convinto che simili riti sono sia causa sia effetto della perdita della fede.
I: Lo dici così bene che non appulcro verbo.
L: Come accordi la tua fede nella jettatura con la tua fede in Cristo? Nel catechismo leggo che “il primo comandamento vieta di onorare altri dèi, all’infuori dell’unico Signore che si è rivelato al suo popolo. Proibisce la superstizione”.
I: E che, caro Camillo, vuoi dopo morto farmi andare direttamente in paradiso? Un bel po’ di purgatorio debbo farmelo anch’io!
L: A pagina 68 sembra che Virginia Bourbon del Monte, la madre dell’avvocato Agnelli, sia stata l’amante del capo delle SS in Italia Karl Wolff. Ho capito bene?
I: Sic.
L: Domandina di attualità: han fatto bene a licenziare coro e orchestra del teatro dell’Opera?
I: Hanno fatto volare gli stracci, visto che tre persone, Marino, Franceschini e il soprintendente Fuortes hanno visto realizzati i loro sogni, colla cacciata di Muti da Roma. L’orchestra andava castigata perché il 30 per cento dei componenti ha osteso certificato medico per non andare alla tournée in Giappone diretta da Muti che ridondava a onore della patria nostra. Ma io avrei incominciato dall’incredibile numero di tecnici…
L: Siamo concordi nel considerare Claudio Magris lo scrittore italiano più sopravvalutato. E il direttore più sopravvalutato? Riccardo Chailly? O chi?
I: Chailly è certo sopravvalutato, è ignorante e casca in tutte le trappole del cretinismo musicale. Una per tutte, dirigerà alla Scala la “Turandot” di Puccini col finale di Luciano Berio, orrendissimo, invece che quello di Franco Alfano (e di questo finale, somma opera d’arte, nel libro parlo molto). Però ha il cosiddetto braccio, nessuno può negarglielo. I più sopravvalutati sono Pappano e Gatti.
L: Ehm, che cos’è il braccio?
I: E’ la qualità istintiva di avere un gesto trascinatore dell’orchestra. Se si accompagna al cervello si ha il grande direttore, se non vi si accompagna si ha il direttore dotato ma lontano dall’esser completo. Chailly ha solo il braccio.
L: Mi sembra di capire, dal tuo libro, che i direttori debbano avere innanzitutto memoria. E’ vero che Carlos Kleiber e Pippo Patanè e suo padre Franco conoscevano a memoria tutto il repertorio? Com’è possibile? Potevano dirigere una qualsiasi sinfonia di qualunque compositore senza avere davanti lo spartito?
I: Carlos Kleiber non so se tutto, ma quasi tutto certamente sì. Il tuo elenco però è incompleto: va aggiunto Franco Mannino, il più grande pianista del Novecento dopo Claudio Arrau, sommo direttore, grande compositore, deliziosissimo scrittore. A febbraio cadono dieci anni dalla sua scomparsa e io faccio sul Corriere della Sera un pubblico appello affinché un editore di buona volontà ripubblichi il meraviglioso libro “Genii” sugli incontri di una vita, da Toscanini a Stravinskij a Thomas Mann a Gorbaciov…
L: Anche per i critici la memoria è così importante? Io credo conti moltissimo la cultura: chi scrive di musica classica è molto più colto di chi scrive di musica moderna e questo spiega perché leggo con piacere te, Facci, Bortolotto, Buscaroli, anche se scrivete di musiche che trovo noiose, mentre leggo con strazio i recensori di musiche che trovo eccitanti quali rock ed elettronica.
I: Memoria e cultura nel critico fino a un certo grado si identificano, se devi giudicare il valore di un’esecuzione devi conoscere a memoria il pezzo eseguito e magari anche i suoi problemi interpretativi. Se poi, da storico, parli di pezzi musicali, ognuno di essi è legato a una catena infinita di antecedenti e conseguenti: più ne conosci gli anelli e miglior storico sei.
L: Scrivi che il jazz ultimamente ti sta cominciando a piacere. Mi fai qualche nome? E davvero ti piacciono i miei prediletti Stones?
I: Ci sono arrivato tramite Gershwin, il quale ha trasfigurato in musica assoluta motivi e pratiche del jazz. E così hanno fatto Ravel e Victor De Sabata nel meraviglioso balletto da “Le mille e una notte”, che incomincia in una centrale telefonica di Nuova York! Adoro Ray Charles e naturalmente il sommo André Previn. Certo, gli Stones sono grandi. Invece pensa che attendevo con ansia l’uscita del nuovo disco di David Bowie ed è stata una grossa delusione!
L: Gli eroi devono morire giovani, Bowie doveva morire nel ’77. Nel libro, oltre che di musica, parli molto di letteratura e ti dichiari virgiliano al punto da affermare che “Virgilio è il più grande poeta di tutti i tempi”. Non è che adesso tocca leggermi l’Eneide? Quale traduzione?
I: Vorrei arrivare all’ideale di conoscere l’Eneide a memoria, come la conoscevano Manzoni e Pascoli, ma mi ci vorrebbero decenni. La traduzione del Caro è un’opera d’arte ma le più fedeli sono quella di Luca Canali (nella “Lorenzo Valla”, con lo sterminato commento di Ettore Paratore che è una delle cose più grandi della storia della cultura), la mia preferita, e quella pure di altissimo valore di Francesco Della Corte nel quarto volume dell’Enciclopedia virgiliana.
L: Sei inoltre un accanito manzoniano: “Io leggevo un anno ‘I promessi sposi’ e un anno il ‘Fermo e Lucia’: adesso li leggo ambedue ogni anno”. Dove lo trovi il tempo per leggere quella montagna di pagine?
I: Per me la lettura non è una passione, è addirittura un vizio. Così ho sviluppato un’enorme velocità nell’attendere al dovere (che pure, sono fortunatissimo, mi piace da morire) per avere lunghe ore destinate alla coltivazione del vizio…
L: Sono un vizioso anch’io e quindi ti lascio, scappo a leggere i capitoli del tuo libro che mi mancano.
Il Foglio sportivo - in corpore sano