Le confessioni pericolose d'una Sophie Kinsella giapponese e infelice
Per essere una super donna, a Tokyo, bisogna “elevarsi al di sopra dell’uniformità assoluta”, trasformando i figli in supereroi. “Confessioni di una vittima dello shopping”, di Radhika Jha.
Per essere una super donna, a Tokyo, bisogna “elevarsi al di sopra dell’uniformità assoluta”, trasformando i figli in supereroi (devono sconfiggere tutti gli altri, prendere i voti più alti e fare incetta di premi). Per essere una super casalinga a Tokyo bisogna concentrarsi, non lamentarsi, pulire la casa, fare attenzione a non produrre troppa spazzatura perché i vicini si lamentano, non piangere troppo forte perché i vicini si lamentano, creare un giardino segreto dentro di sé in cui lanciare tutte le cose brutte, le parole che non si possono dire, la rabbia e la stanchezza e l’odio, il buio che ti prende, che in giapponese si chiama Makkura. E che, come tutto quanto riguarda la vita di una donna giapponese, non va condiviso.
La ragazza di questo romanzo Sellerio (“Confessioni di una vittima dello shopping”, di Radhika Jha, scrittrice indiana che vive in Giappone) ha scoperto il “felicismo”, celebrato nei grandi magazzini giapponesi, dove vanno le signore eleganti a comprare abiti di Valentino, borse di Louis Vuitton (tutte le madri hanno questa borsa di Vuitton porta-pannolini appesa al passeggino), scarpe italiane coordinate alla pochette, al foulard, ai capelli (che devono essere castani, non neri), giacche di cachemire, kimono di seta. Non è un piacere sporadico, è una missione, che ha a che vedere con l’autocontrollo e la disciplina, l’orario di ingresso (alle impiegate è precluso lo shopping del mattino, che è il migliore) e l’odio per le commesse che sono maestre del raggiro: bisogna respingerle con un semplice sguardo. “Devi sapere che cos’è che cerchi, prima di varcare le porte dorate”, è la regola più importante del club delle super donne sposate che fanno shopping. Quelle che imparano tutte le regole e le applicano diventano come samurai, e quando trovano l’oggetto del desiderio, l’accessorio perfetto, e si dirigono verso il camerino, si sentono toccate dalla grazia divina.
E’ un sussulto interiore, non l’esaltazione sgangherata di Becky, la protagonista dei romanzi di Sophie Kinsella sull’addiction per gli acquisti, è una felicità cupa, che durerà finché non si torna a casa a cucinare il merluzzo nella cucina con le pareti di cartongesso. “I vestiti sono l’unica vera forma di potere che spetta alle donne a questo mondo”, dice Tomoko, la compagna di scuola bellissima, a cui lo shopping riempie l’anima: passare da un negozio all’altro la nutre, gli uomini abbassano i finestrini delle auto per farle i complimenti, ma alla fine della giornata, con le buste piene di lingerie, gonne, camicie di seta, Tomoko lentamente si spegne, la luce abbandona il volto incipriato. Ma il vero momento culto dello shopping giapponese, il più eccitante e tossico, è quello delle super svendite: vengono annunciate per posta, alle elette che arriveranno in anticipo per assicurarsi le cose più belle, da infilare con frenesia nelle buste di plastica. Decine di donne mezze nude davanti agli specchi, ciascuna col suo sacco di plastica e i vestiti sparpagliati ai piedi, in uno stato assoluto di tensione. Due o tre super svendite ogni fine settimana. E la consapevolezza di essere disposte a tutto per quel felicismo, anche a uccidere.
Il Foglio sportivo - in corpore sano