Vecchie polemiche belliche
In Iraq c'erano le armi non convenzionali, scrive il New York Times
Dal 2004 al 2011 i marine hanno ritrovato agenti chimici e sono rimasti contaminati. I segreti del Pentagono. Il sito che ora è di al Baghdadi.
Milano. Le armi chimiche in Iraq c’erano e ci sono, scrive il New York Times in una superinchiesta fatta da C. J. Chivers, premio Pulitzer che ha raccontato per il quotidiano newyorchese tutte le guerre degli anni Duemila. Le armi chimiche c’erano e ci sono, dal 2004 al 2011 molti soldati americani le hanno ritrovate e sono rimasti feriti (quando si viene a contatto con agenti chimici in quantità non eccessive le conseguenze non sono immediate ma sono permanenti: ci possono essere piaghe visibili, ma soprattutto ci sono difficoltà respiratorie, mal di testa, gli organi non funzionano più come prima, e non lo faranno più), ma non sono stati curati con la dovuta e necessaria attenzione dai medici dell’esercito. E’ questo che Chivers vuole denunciare: l’insabbiamento da parte del Pentagono delle contaminazioni, per imbarazzo soprattutto, e rivela che addirittura le medaglie sono state negate ad alcuni di questi soldati debilitati per sempre perché “gli agenti chimici che li hanno colpiti non sono stati usati in azioni di combattimento”. Ma, come ha detto un marine citato nell’inchiesta, cosa vuol dire?, non le ho sparse io quelle sostanze chimiche, le ho ritrovate seguendo una normale procedura per disinnescare bombe sulla strada. Le sostanze c’erano già, questo è il punto.
Chivers sottolinea che le armi chimiche ritrovate dagli americani in Iraq “non confermano i fondamenti alla base dell’invasione dell’Iraq”: l’Amministrazione Bush sosteneva che Saddam Hussein stesse “nascondendo un programma di armi di distruzione di massa, contro la volontà internazionale e ponendo un rischio per tutto il mondo – scrive Chivers – Gli ispettori dell’Onu dicevano di non aver trovato le prove di queste dichiarazioni”. Le armi ritrovate negli anni della guerra dai soldati americani non facevano parte di “un programma attivo”, che secondo la ricostruzione è quello che l’Amministrazione Bush andava cercando, la famosa smoking gun, ma erano quel che restava delle scorte fatte dal regime di Baghdad durante gli anni Ottanta, con la collaborazione degli occidentali che, come è noto, appoggiarono Saddam nella guerra contro l’Iran, rifornendolo di armi. Non era quello che l’America di Bush stava cercando, cioè “un’attività da parte del regime iracheno dopo l’11 settembre”, scrive Chivers, e così, negli imbarazzi del post invasione, alle prese con l’opinione pubblica contraria alla “guerra illegittima”, si disse che le armi chimiche abbandonate non ponevano una minaccia “militarmente significativa”. Salvo poi scoprire che le munizioni chimiche utilizzate dentro alle bombe artigianali degli insurgent dopo il 2004 non erano poche – i “rimasugli” dell’arsenale di Saddam pre-1991 sono circa cinquemila testate chimiche – e non erano nemmeno innocue. Erano, appunto, armi chimiche.
Le armi di distruzione di massa così come presentate al mondo dalla retorica della guerra, con Powell e la fialetta all’Onu, non sono state trovate – fu un fallimento dell’intelligence. Ma anche chi ha creduto che la minaccia di Saddam fosse una bufala creata dai guerrafondai amici di Bush a caccia di petrolio dovrebbe ripensarci: nelle parole del presidente Bush, non si ritrova mai la dizione “programma di armi chimiche attivo”, che è quello che, secondo Chivers, non è stato trovato. Le motivazioni della guerra a Saddam, a dirla tutta, erano la riluttanza dell’Iraq al disarmo, la sua volontà di armarsi ancora, il pericolo del terrorismo, il fallimento del containement. E le armi chimiche? Jarrod Taylor, un ex sergente americano che ha visto due suoi soldati bruciati dagli agenti chimici, fa dell’ironia sulle “ferite che non ci sono mai state” causate da “roba che non esisteva”: l’opinione pubblica, dice Taylor citato nell’articolo, è stata ingannata per un decennio: “Adoro sentir dire ‘oh, non c’erano le armi chimiche in Iraq’. Era pieno”.
[**Video_box_2**]Le armi di fabbricazione occidentale
Perché il Pentagono, in un momento in cui ogni ritrovamento avrebbe fatto il gioco della Casa Bianca di Bush, ha deciso di insabbiare il tutto, mandando in missione i marine senza avvisarli dei pericoli che correvano? Perché c’era da spiegare che le armi erano di fabbricazione occidentale, non il gas che era iracheno (cosa che sapevano tutti, nel 2003 la battuta più ricorrente era: “Per forza ci sono le armi, abbiamo lo scontrino”) e perché c’erano grandi problemi a riconoscere e neutralizzare le armi ritrovate. Oggi molti ammettono che “militarmente non significativo” è inaccurata definizione dell’arsenale chimico di Saddam. Un po’ arrugginito, forse non era usato sistematicamente come contro i curdi e gli sciiti negli anni 80, ma esisteva eccome.
Nella metà del 2008, scrive Chivers, “quando gli incidenti con le munizioni piene di iprite (“mustard” in inglese, ndr) si accumulavano”, si decise di andare a controllare al Muthanna, il complesso vicino a Samarra che era stato il principale centro del programma della guerra chimica di Saddam. Al Muthanna era stato colpito e parzialmente distrutto nei bombardamenti della prima guerra del Golfo nel 1991, ed era stato demilitarizzato dalle Nazioni Unite nel 1999. Ma un bunker – “una enorme struttura a forma di croce” – ancora conteneva bombe inesplose, assieme a razzi riempiti di sarin, secondo le testimonianze raccolte dalle persone che conoscevano il complesso. L’11 luglio del 2008 i marine scoprirono un altro bunker con dentro munizioni piene di iprite. Spostando i materiali per poi distruggerli, almeno sei militari furono contaminati, con piaghe su molte parti del corpo (i racconti dei feriti sono strazianti, si pulivano con quel che avevano, terrorizzati, usavano anche le salviettini per bambini). Furono curati ma fu chiesto loro di tenere la faccenda riservata. La stessa cosa era accaduta in molte altre occasioni, vicino al fiume Tigri e in altre parti dell’Iraq. Cioè le armi chimiche erano disseminate su tutto il territorio iracheno ed erano utilizzate per colpire obiettivi americani. Secondo la definizione di Chivers si tratta di “remnants of long-abandoned programs”, ma la loro pericolosità è confermata da tutti i militari che, spesso a loro insaputa, sono venuti a contatto con queste armi. Ed è un problema ancora attuale, perché le armi sono state ritrovate dappertutto.
Nel 2009 gli Stati Uniti hanno informato retroattivamente l’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche di aver ritrovato 4.500 armi chimiche. I dati non sono stati discussi pubblicamente ma, scrive Chivers, “nel momento in cui ci si preparava al ritiro, vecchie scorte sparse dopo l’invasione erano ancora in circolazione. Il complesso di al Muthanna non è ancora stato ripulito”. Era responsabilità del governo di Baghdad procedere a questa operazione, non più delle forze americane. Ma come tanti compiti che gli iracheni avrebbero dovuto eseguire dopo il ritiro degli Stati Uniti, anche questo non è stato fatto. Quando tre giornalisti del New York Times sono andati ad al Muthanna nel 2013, “un gruppo di poliziotti e soldati iracheni era a guardia dell’ingresso”. Due bunker contaminati – uno conteneva versioni di cianuro e razzi con sarin – incombevano dietro di loro, mentre l’area bonificata dai marine nel 2008 non era visibile. “I soldati iracheni – conclude Chivers – che erano all’entrata oggi non ci sono più. Il compound, che non è mai stato sepolto, è ora sotto il controllo dello Stato islamico”. Le armi chimiche in Iraq c’erano, e ci sono ancora.
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