Marco Pantani durante il Tour de France del 1998

Ci mancava la camorra. Pantani, il Giro del 1999 e quei giudici che continuano a importunarlo

Giovanni Battistuzzi

A 15 anni di distanza la Procura di Forlì è ritornata a indagare sull'esclusione del Pirata a Madonna di Campiglio. Rivalutano le parole di Vallanzasca, considerato non attendibile al tempo, e tirano in ballo segreti e complotti. Ma è tardi. Marco è morto nel 2004. Lasciatelo in pace.

Dieci anni dopo la sua prematura scomparsa in una pensione di Rimini, quindici anni dopo la sua esclusione dal Giro del 1999, che stava dominando, a Madonna di Campiglio, si torna a parlare di Marco Pantani. Ad agosto la riapertura delle indagini sulla sua morte da parte della Procura di Rimini, la nuova accusa, omicidio volontario; ora, come non bastasse quanto già fatto, un nuovo fascicolo a carico d'ignoti da parte di quella di Forlì, "associazione a delinquere finalizzata alla truffa e alla frode sportiva", in relazione alla sua esclusione la mattina della partenza della tappa regina di quel Giro d'Italia, quella con Gavia, Mortirolo e gran finale al Passo del'Aprica. Ancora una volta la riesumazione di questioni passate, di intrighi popolar-giudiziari sbattuti di nuovo in faccia alla pubblica opinione. Come fu per Tenco, come accadde ad altri "misteri" italiani, si ripresenta un gioco già visto: una Procura rivanga il passato, si accorge che c'è un'inezia da analizzare meglio e si decide a indagare di nuovo, incurante degli anni trascorsi e dell'inutilità di riscrivere sentenze frutto di indagini farraginose.

 

 

Così a Forlì dopo quindici anni rinverdiscono Vallanzasca, lo rivalutano come fonte, provano a toglierli di dosso l'etichetta di non affidabilità attribuitagli dal tempo. L'ex bandito della Comasina all'epoca ammise: "In carcere mi dissero di puntare milioni contro di lui". Nulla si mosse allora. L'idea, fondata o meno che fosse, non venne presa in considerazione: il Pirata era colpevole a prescindere, dopato.

 

[**Video_box_2**]Pantani dimenticato per anni. Poi il decennale della morte, un Giro, quello di quest'anno che ne ha percorso le tappe più importanti della carriera italiana, e di nuovo si accendono i riflettori sullo scalatore romagnolo. Ma è troppo tardi. Il Pirata non c'è più. E' morto a Rimini stroncato dalla cocaina il giorno di San Valentino del 2004. Una carriera spezzata da quell'assurda esclusione, dalle campagne moralistiche della stampa che lo etichettava come dopato pur non essendo mai stato squalificato per doping, ma per valori ematici non consoni all'attività sportiva. Il Pirata escluso in quanto malato, non idoneo, non dopato. Un differenza sostanziale indipendentemente dalla possibile associazione delle due cose. Strana quella squalifica: sei controlli del sangue idonei prima di Madonna di Campiglio, due (privati) nelle ore immediatamente successive. Ma non quello. Il giudice di corsa che impone l'allontanamento dal Giro. L'inizio di una caduta libera.

 

Strana quella mattina al Giro. Tensione, concitazione, il referto troppo veloce ad arrivare, la notizia diffusa troppo rapidamente. Sospetti. Poi le dichiarazioni di Vallanzasca a buttare benzina sul fuoco. Tutte cose ignorate dai giudici al tempo. Poi l'inizio dell'andirivieni dalle procure del Pirata accusato di doping. Ora un nuovo processo, il secondo, a dieci anni di distanza dalla sua morte. Tardivo, fuori luogo. La camorra tirata in mezzo, come fosse una giustificazione, come se solo oggi fosse chiaro che c'era qualcosa di strano nella squalifica di Marco Pantani. Il desiderio di chiarire quello che non è più tempo di approfondire. Pantani non c'è più. Rimane il ricordo di un campione che è riuscito a fare quello che nessun altro ha fatto: fare innamorare la gente del ciclismo. Ora, lasciate Marco fuori dalle Procure, continuare a martoriarlo non serve. E' già stato assolto.

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