Governatori o cacicchi
Si capisce la demagogia leghista, non il fronte unico spendaccione. Matteo Renzi e Pier Carlo Padoan hanno fatto le loro scelte. E’ un governo pienamente politico, fa scelte politiche. Il nucleo di questa linea si conosce: taglio fiscale sulle imprese, sul lavoro, sui redditi.
Matteo Renzi e Pier Carlo Padoan hanno fatto le loro scelte. E’ un governo pienamente politico, fa scelte politiche. Il nucleo di questa linea si conosce: taglio fiscale sulle imprese, sul lavoro, sui redditi. La causa è altrettanto nota: siamo in una spirale di deflazione e recessione, devono ripartire investimenti e consumi, deve aumentare la produttività (totale dei fattori, dicono gli esperti economisti). La fame di lavoro, e di lavoro qualificato, non si può soddisfare altrimenti. Non c’è altra strada possibile per creare ricchezza sociale, premessa per la sua ridistribuzione in un sistema basato sulla progressività dell’imposta e sullo stato sociale universale. E’ in discussione un modo di vivere, lavorare e amministrare il paese che ha prodotto debito, malcostume diffuso (senza generalizzare), e una vasta dipendenza dei cittadini dallo stato, che tassa e spende (tax and spending: nota filosofia liberal) oltre ogni misura del possibile, secondo i principi obsoleti di un’economia che, con la apertura mondiale dei mercati e lo sviluppo tecnologico, virtualmente non esiste più.
I governatori delle regioni (di sinistra come Chiamparino e Zingaretti, di destra come Caldoro, di area leghista come Zaia e Maroni) devono scegliere anche loro. Possono comportarsi come parte di una seria classe dirigente o in un certo senso da cacicchi, ma i capitribù controllavano il villaggio, mentre loro sono controllati a vista da un ceto amministrativo che promette quel che non può e spreca tutto quel che può. Oppure possono cercare di cambiare l’ordine del discorso, e dei fatti, prendersi la responsabilità che gli tocca, adesso. Il governo non agisce nel vuoto della decisione politica indipendente, autarchica: fa i conti con i patti europei, con la logica della moneta unica, con le forze di mercato che danno segnali chiari di nervosismo finanziario, più o meno speculativo (il Foglio ne ha parlato con allarme prima delle turbolenze di queste ore). I dati sullo sviluppo economico sono duri per tutti, anche per questo paese, e non esistono per l’Italia e l’Europa soluzioni sorprendenti e nuove alla Tsipras, alla Farage o altre versioni sviluppiste di sinistra classista e di destra nazionalista o populista. I trasferimenti dello stato alle regioni vanno tagliati, la foresta va disboscata.
[**Video_box_2**]C’è margine, lo sanno e lo vedono tutti. In ogni settore, sanità compresa. Il margine è dato dalla compressione radicale, riformatrice, degli sprechi esistenti, che incombono come coalizione di interessi su governatori eletti dal popolo, combinata con una commisurazione dei servizi sociali da un lato ai bisogni e dall’altro alla capacità di contribuzione dei cittadini, con tutte le dovute esenzioni per chi è svantaggiato socialmente, con tutte le possibili nuove imposte regionali per chi può ridurre il carico della spesa improduttiva. Forse si può capire che un Maroni e uno Zaia fatichino a seguire un percorso riformatore, date le posizioni estreme e antisistema della Lega. Ma che si costituisca un fronte unanime spendaccione con Chiamparino, Zingaretti, Caldoro, questo è un segno di pigrizia e di rassegnazione al tran tran. Dicono di sentirsi offesi, ma con questo comportamento sono loro a offendere l’intelligenza degli italiani.
Il Foglio sportivo - in corpore sano