I dati europei che smentiscono la lagna dei giudici sulle risorse
In Italia, nel capitolo giustizia, sale la voce “stipendio dei magistrati”. Il Consiglio d’Europa sulla distanza dai colleghi stranieri.
Milano. L’Italia è piena di sperperi, caste e privilegi, ma quando a questi sprechi si dà un nome e un cognome, improvvisamente diventano spese indispensabili e servizi essenziali. Va bene la spending review, ma senza toccare la sanità. Ok la riduzione della spesa, ma senza tagliare pensioni, istruzione e sicurezza. Prendiamo la giustizia. Nei giorni scorsi, intervenendo contro la riforma ipotizzata dal governo, il presidente dell’Associazione nazionale magistrati, Rodolfo Sabelli, ha ribadito che più che di riforme c’è bisogno di investimenti: “C’è carenza di risorse”. Si tratta del solito lamento che si sente nei racconti di tribunali scalcinati, uffici senza fotocopiatrici, magistrati costretti a portarsi le matite e avvocati la carta igienica da casa. Non che tutto ciò non sia anche vero, il problema è che è falsa la narrazione di uno stato che non spende per la giustizia. E’ da pochi giorni uscito il rapporto biennale della Commissione per l’efficacia della giustizia (Cepej) sulla qualità e l’efficienza della giustizia, che confronta i dati di oltre 40 paesi del Consiglio d’Europa. Secondo i dati appena pubblicati, la spesa per il sistema giudiziario in Italia è passata dai circa 4 miliardi di euro del 2004 ai 4 miliardi e 600 milioni del 2012, portandola ai livelli più alti d’Europa, senza che i tempi e le inefficienze si siano ridotti granché. Il perché lo spiega la Cepej: “In Italia l’aumento del budget della giustizia registrato nell’ultimo decennio è dovuto all’aumento del costo dei giudici. Gli altri capitoli di spesa non hanno avuto nessun aumento sostanziale”. In pratica “più spesa per la giustizia” è significato “più stipendi per i magistrati”, che in questi anni hanno difeso con le unghie e con i denti i loro salari, arrivando a giudicare i tentativi del governo di mettere un freno alla crescita degli stipendi come un attacco all’autonomia e all’indipendenza della magistratura: “E’ una mortificazione della categoria, tale da dequalificare in prospettiva la magistratura, non più in grado di attrarre le migliori professionalità”, aveva scritto l’Anm.
E non c’è ombra di dubbio che, se la professionalità si misurasse col peso della busta paga, le toghe italiane sarebbero le più qualificate d’Europa. Secondo i dati pubblicati dalla Cepej, un magistrato a inizio carriera in Italia percepisce 54 mila euro l’anno, 18 mila più di un collega francese, 13 mila più di un tedesco, 7 mila più di uno spagnolo. Il divario è ancora più ampio se si prendono in considerazione i magistrati a fine carriera: un giudice italiano percepisce circa 180 mila euro l’anno, 75 mila più di un tedesco, 72 mila più di uno spagnolo, 70 mila più di un francese. Le toghe italiane hanno inoltre un altro paio di record: il divario dello stipendio tra i giudici a fine carriera e quelli a inizio carriera è il più alto d’Europa (330 per cento in più), il rapporto tra lo stipendio dei giudici e il pil pro-capite è il più alto dell’Eurozona (un giudice arriva a guadagnare 6,3 volte più un italiano medio).
[**Video_box_2**]Ma non finisce qui, perché se oltre alla fotografia statica si guarda la dinamica delle retribuzioni, il quadro per i magistrati italiani diventa ancora più roseo. Il meccanismo di adeguamento automatico degli stipendi (che si aggiunge agli scatti di carriera) ha garantito negli ultimi anni aumenti generosissimi. I dati della Cepej dicono che solo negli ultimi quattro anni gli stipendi dei magistrati italiani sono cresciuti del 20 per cento per i giudici a inizio carriera e del 37 per cento per i giudici a fine carriera, l’aumento più grande d’Europa. Tutto questo mentre in Francia restavano invariati e gli altri paesi alle prese con la crisi facevano vera spending review tagliando le retribuzioni dei magistrati dal meno 46 per cento della Grecia al meno 23 per cento dell’Irlanda. Persino il Lussemburgo ha abbassato lo stipendio ai propri giudici, del 5,5 per cento.
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