La tristezza dei comici
Come una volta c’era sempre la rughetta (surrogato dell’antica nobiltà del prezzemolo), e prima ancora, senza scampo, le pennette vodka e salmone, adesso ci sono i comici. E’ la corsa all’accaparramento, la borsa nera delle battute, l’ostensione in ogni trasmissione televisiva di media/bassa/alta caratura.
Come una volta c’era sempre la rughetta (surrogato dell’antica nobiltà del prezzemolo), e prima ancora, senza scampo, le pennette vodka e salmone, adesso ci sono i comici. E’ la corsa all’accaparramento, la borsa nera delle battute, l’ostensione in ogni trasmissione televisiva di media/bassa/alta caratura – come si fa, periodicamente, con la Sacra Sindone. Pregevoli come fichi settembrini, preziosi come il cocomero Densuke. Accorrete, gente, accorrete! A rimirare Crozza, a deliziarvi con Benigni, a sollazzarvi con Giorgio Montanini (e tutti a fare: chiiiiiiiii?, persino ingenerosamente: informatevi, faciloni!, dicono i meglio critici). Vi avanza un Lillo & Greg, da qualche parte? Per caso un Dario Vergassola, almeno un Dario Vergassola, quello che “me la darebbe?”, sperando che qualche anima caritatevole abbia risolto l’incombenza? Si rimirano, sul fondo del desiderio più inespresso, Luca & Paolo. Se c’è da dare della “topa meravigliosa” a qualcuna non farsi scappare Paolo Ruffini, che si è già sperimentato sull’ottantenne Loren. Al “Ballarò” di Giannini (che settimanalmente comici rastrella: sorta di Cie del settore, serraglio di preziosità, serra tropicale, “rotazione virtuosa”, la chiama lui), c’è Paolo Rossi che racconta di aver sognato Enrico Berlinguer, per renderlo edotto delle sorti del suo fu partito – perfetta intesa con l’attualità: come se uno avesse avuto in visione la principessa Sissi o Santorre di Santarosa. C’è la Littizzetto che, ormai verso un gagliardissimo mezzo secolo, temeraria s’inerpica ancora, come la “minchia Sabbry” della verde età, con tacchi che scànsati, sul banchetto di Fazio nella saga parrocchiale della Jolanda (quella che a Vergassola nessuna molla) e del Walter (quello che Vergassola non trova nessuna a cui mollarlo), fa una specie di editoriale contro l’Angelino Alfano Jolie per la sua circolare sui matrimoni gay, “ma il problema è un altro: se il Parlamento non fa le leggi, il mondo continua ad andare avanti e noi rimaniamo sempre un passo indietro”, che barba che noia – pure ottima cosa, ma per questo bastava un editoriale sul manifesto o un sospiro di Vendola. Oppure farlo dire a chiusura di trasmissione a Gramellini, che sta lì apposta. Così, è continua sollecitata transumanza da trasmissione a trasmissione, da presentatore a presentatore, da talk a show, da Max a Tux (do you remember, con la dovuta mestizia?). L’angolo del comico mai manca – qualunque sia l’entità della sciagura in discussione (si scopre che esiste pure un progetto “Comici Integrati contro il razzismo”, “promosso e realizzato dall’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali della Presidenza del Consiglio dei Ministri”, sai che ridere, se prima non riprendi fiato) o la vacuità dell’argomento che tiene banco.
Il comico nostro è, di solito, comico d’impegno oltre che d’ingegno, de ggente e de core e de massa. Non vuole prendere per il culo il mondo, ma il mondo spiegare e mutare. Farti ridere, ma sciaguratamente farti pure applicare. Un colpetto al legno storto mai manca, un’idea di umana redenzione, un pistolotto per la miglior causa. (Chissà se mai al comico nostro potrà succedere quello che spesso accadeva al grande Lenny Bruce in America – sboccato, fermato, processato, fenomenale. Avvocato, al processo, all’agente che lo aveva ammanettato: “Agente Ryan, a lei il termine cocksucker (bocchinaro) è familiare, non è vero?”. Agente: “L’ho sentito adoperare, questo è vero (…) Ebbi un colloquio con l’imputato mentre lo portavamo… l’accompagnavo al cellulare. Io dissi al signor Bruce: ‘Perché ritiene di dover usare la parola ‘bocchinaro’ per divertire il pubblico in un pubblico locale?’. E la risposta del signor Bruce fu: ‘Be’, ci sono un sacco di bocchinari in giro, no? Che c’è di male a parlare di loro?…”. Da queste parti l’argomento, smesso il bunga bunga, ormai deplorevolmente latita, e sì che ci sarebbe da dire). I comici nostri, di vario taglio e di diversissimo pregio (dalla portata prelibata alle frattaglie per frittura), commettono in grandissima misura il peccato di voler essere comici essendo seriosi – sgusciando di continuo da dietro la maschera, tediando l’uditorio più che col genio del giullare con la saggezza sconsiderata del marionettista. Fino al culmine, al vertice insuperabile di Grillo – per altezza, chissà se un giorno (quasi quasi) per rovina. Lui, il comico che tutto doveva travolgere – scena/proscenio/platea – lì nel fango della sua Genova, capopartito tra altri capipartito, si è sentito dire questo, lanciato a insulto ciò che fu nobilissima pratica sul palcoscenico più accreditato: “Pagliaccio!”, come se maschera e volto ora si mischiassero – e il tratto davvero comico è solo in quell’annotazione, maliziosa e felice, nella cronaca del Corriere della Sera, là dove si dettaglia che il comico e leader aveva intorno “quattro accompagnatori che lo seguono da vicino, quattro armadi che si comportano come se dovessero dimostrare di essere l’anello di congiunzione tra i Sopranos e la nazionale di body building lituana” – che magari guardie del corpo non sono, “come sostiene il capo in un messaggio sul blog, ma questo facevano”, sempre sul Corriere. Così la grandezza del teatrante frana nell’implacabile rappresentazione giornalistica, come se al posto del Comico Arcangelo Vaffanculista ci fosse un ministro di sinistra fama; come se ci fosse alle viste, al posto del Beppe Spalatore delle Merde Altrui, un rapper di Harlem di un telefilm della Fox – né basta più giocare con la similitudine tra il fango di qua e la merda di là (spala quello, spaliamo quella). E sul blog stellare c’è peraltro da gustare la roboante controcronaca, “applausi e sorrisi per il leader del Movimento 5 Stelle da parte della gioventù genovese”. Applausi. Sorrisi. Leader. Gioventù (non maschia? Ahi ahi!). Una volta, a pensarci sopra, questo sarebbe stato perfetto canovaccio. Segue appassionante video di cinquanta secondi, minuto scarso. Titolo: “ESCLUSIVO: Beppe e i parlamentari spalano fango a Genova”. Pareva la benemerita lista “Vanga e Stella”, di cui si ebbe notizia alle ultime elezioni a Cantalice (Rieti). Per la trebbiatura a torso nudo, con trattori ecologici, si vedrà la prossima estate.
Prendendosi sempre più sul serio, i comici nostri fanno sempre meno ridere. Quel monologare ormai più simile a un comiziare, quell’affrontare la folla come se invece di risate si volesse sollecitare indignazione, quell’emergere non per una scenetta piuttosto per una lectio magistralis, l’attesa quasi palpitante di qualche honoris causa. Chissà: deve essere stato l’Oscar a Benigni, o forse il Nobel a Fo, ad attizzare animi e pretese. L’antica speciale benefica vocazione – che si ritrova, con perfetta espressione, proprio in una sigla televisiva scritta da Fo, “sono arrivati i re dei ciarlatani / i veri guitti sopra il carrozzone” – ha ceduto il passo all’esagerata autoconsiderazione, quasi lo stesso nobilissimo mestiere (che si può svolgere sull’autostrada che dal genio di Albanese o di Corrado Guzzanti o dall’indiscussa bravura di Crozza – che pure il maligno Freccero riconduce al ruolo di “Littizzetto di Floris” – finisce nel vicolo cieco di certi patetici rimasugli da retrobottega: cotillon minori) fosse incapace di contenerla. Così la gente ride meno. Però pensa – pensano loro. Figurarsi. (Anche a Bruce a volte, dopo l’ennesimo arresto, capitava: “Non sono stato molto buffo stasera. A volte non lo sono. Non sono un comico. Sono Lenny Bruce” – ma era Bruce, c’era una vera persecuzione sbirresca, persino la droga di mezzo: seria, mica la cannetta da portarsi in società). Ripartiti i più grandi nei cassetti dei più valenti agenti, come calzini stagionali, come pregevoli Gronchi Rosa – ne escono quasi con epico sortilegio, a farsi evento: chi può, chi non può a farsi flop. Certo può Benigni (che pure qualche recente flop dantesco ha patito: alla trentesima volta Paolo e Francesca o trombano o si levano dalle palle) – e tutti i meglio seguaci lì a rimpiangere, ora che lui pare il più alto cantore delle nostre massime virtù (da vicino tallonato, solo giornalisticamente però, da Aldo Cazzullo), il Cioni Mario o la “Televacca” o il Berlinguer amato ad altissimo livello, altro che sognato – “il comunismo viene da sé, il comunismo è come prima di farsi la prima sega, che si viene a letto da sé, dio bono, che cosa mi è successo?, niente, fanciullo, quello che non funzionava ora funziona”. Ha messo mano a Dante tutto, inferno e purgatorio e paradiso e fermate intermedie niente escluso, alla Costituzione, la mejor del mundo, all’inno di Mameli (mica el mejor del mundo), adesso ai dieci comandamenti – dopo Biagi e Cecil B. DeMille e Kieslowski, quasi appaiati col Sinodo. Si capisce che così, sempre più, la faccenda dalla satira e dal comico all’esortativo e all’esplicativo volge, si erge e si avvolge, da Macario vira verso i padri costituenti: più Calamandrei che Carlo Dapporto. Chissà se un giorno, esauriti gli autorevolissimi manufatti – sono ancora in pista “Papaveri e papere”, il Vangelo, “Questo piccolo grande amore”, il libro “Cuore” e i decreti attuativi del Jobs act – all’antico folletto di Vergaio non giunga in soccorso, allo stremo, il caro ricordo di Vittorio Gassman, che proprio sugli schermi Rai, finissimo dicitore, con vero colpo genio si sfotteva leggendo, su apposito leggio e sotto luci adeguate: il menù del ristorante, “in aggiunta al menù giovedì gnocchi”, le analisi cliniche sue, “glicemia: 0,84, colesterolo: 134, colore: paglierino”, gli ingredienti dei frollini per la zuppetta, “farina di frumento, zucchero”, persino le norme di sicurezza in volo…
L’aspirazione a farsi padri e madri (al peggio cugini, ma di primo grado) della Patria, col passare degli anni ha dato al comico italico quella patina tra il tetro e il risaputo che ha finito con l’allontanarlo da Aldo Fabrizi per spingerlo, magari, dalle parti (di sapienza ricche, di humor più malfornite) del professor Zagrebelsky o dell’apparato di MicroMega. Così, a volte, ciò che era conforto o sfogo o piacevolissimo cazzeggio, si è mutato quasi in affare di stato. Basta far correre il pensiero al non bastevolmente lodato “La trattativa” della Guzzanti, “film serissimo” dice lei, “una tecnica da cabaret” annota il dott. Caselli, così che l’ennesimo corto circuito si avvia: e ciò che elogio per un comico può essere, fosse “cabaret” o fosse “pagliaccio”, viene quasi usato a dileggio; e ciò che per un comico pesantezza può essere, “serissimo”, come elemento qualitativo viene rivendicato, mentre nel parapiglia il povero Travaglio, di suo più portato a qualche efficace badilata, sta lì che prova a metter pace tra i due consimili, così che pare, a proposito di gran comici, tale e quale il Gilberto Govi dei “Maneggi per maritare una figliola”.
Ah sì, certo, okkei, c’è sempre la storia che il comico è pure cittadino, che all’erta sta, sentinella democratica che avvisa sulla notte che avanza – e solo, si capisce, non per piacer suo piuttosto per le migliori intenzioni e il più civile sviluppo del paese. Ci sono comici, come Neri Marcorè, che non a caso – pur con successo ancora pieno – indietro si sono tirati, lasciandosi alle spalle i Gasparri e i Casini di felice interpretazione. Il festoso miscuglio ha prodotto intorno ai comici (a certi), più che seguaci, tifoserie di tutto fornite, tranne paradossalmente di senso dell’umorismo. Sul blog di Grillo (lì risiamo, ma lì è inevitabile spesso tornare), settore “Tze Tze politica”, il Benigni che fa il Mosè catodico è stato accolto con commenti tipo “sei un ruffiano di Renzi, vergognati”, “ma Fico che cazzo ci sta a fare?” (essendo Fico di nome il figo grillino di fatto messo a capo della Vigilanza), “siamo pronti a scendere in piazza a riprenderci la nostra dignità” (con la vanga o senza?), “servo buffone di corte Pd”, “spero che Dante se lo porti all’inferno”, “Benigni massone della peggior specie è un mondialista e europeista”, e il risaputo “pagliaccio!” (rieccolo: ciò che poi a Grillo altri hanno girato tra il fango di Genova). Che c’è pure questo: grande comico, adesso leader di grande (numericamente) partito, capace di mettere insieme una massa sterminata di risentiti e permalosi, fuggitivi dalla risata verso il ghigno – gente disposta pure a credere (ah ah ah!) di aver fatto un’epica lunga marcia maoista con quella sorta di simil festa dell’Unità provinciale al Circo Massimo, spintonata in continuazione oltre il sacro muro del suono del “vaffanculo” rigeneratore.
[**Video_box_2**]Tutti i comici, si sa, si dice, sono tristi. Quasi tutti – chitarrine scordate, albe negli occhi stanchi, pierrot lacrimosi, marionette senza fili. Così pare – così la più banale vulgata. Certo, il campo è invaso: non pochi politici sottraggono spazio (battute meno felici, cazzate più esplosive), persino i giornalisti si sono messi a far spettacoli con massima moralia e minimo dispendio per le piazze, monologhi scassacazzi per ogni svincolo autostradale, alluvionali pipponi sul mondo su ogni palco di festa patronale, da ogni pertugio televisivo, ogni cazzata, ogni fissazione, tutte le paturnie buone per darsi sulla voce – una vocazione attoriale persa dai giorni di Raf Vallone (che giornalista fu, all’Unità). Lo stesso, sono stati questi decenni fenomenali, quasi non c’è comico che la sventurata sorte nazionale non abbia avuto a cuore e in cartellone. Cavolo e cazzo, se si rideva – fino al punto che oggi, per ogni talk show che si rispetti ha il suo comico di riferimento, il giullare della serata, il menestrello castigamatti. Che però, di recente, girano un po’ a vuoto. Forse la sconsolata verità l’ha detta proprio Montanini (chiiiiiiiiiiiiii?, studiate dubbiosi, studiate la stand-up comedy americana, oh yes!, invece di farvi le seghe con i Legnanesi), quando in diretta tivù ha premesso: “C’è poco da ridere, signori…” (allora che facciamo, ci alziamo e ce ne andiamo?), per poi spiegare: “Ci manca una persona, un nemico… Ci manca Berlusconi…”. Ecco qui, ecco il vero problema: essendo il Cav., ora affratellato con Vladimir e con Luxuria attavolato (a nessun comico, però, era venuta la meglio battuta su Silvio come al trans rifondarolo: “In fondo facciamo la stessa cosa: tutti e due ci trucchiamo e tutti e due portiamo i tacchi alti”), il principale produttore dell’indotto comicarolo italiano. Il nemico perfetto. Il bersaglio assoluto. Il modello irraggiungibile. L’importanza di chiamarsi Silvio. Acquartierato adesso dalle parti di Cesano Boscone, peggio che per la Fiat a Detroit, pure i suoi spiritosissimi detrattori, che da lui avevano preso una sorta di imprinting come Cioc e Martina, le papere di Lorenz, sembrano aver smarrito la bussola. Sì Renzi, sì la Camusso, sì Salvini deboli succedanei – oppure che ti metti a fare (esauriti pur pregevoli Santanchè e Bondi e Brunetta): Alfano? Orlando? Toti? Fitto? Delrio col ciuffo bello? Pinotti con la mimetica? Finocchiaro col carrello della spesa? Ne puoi dire bene? Ne puoi dire male? Soprattutto: ne puoi dire qualcosa?
Tace Panariello. Andrea Scanzi, sul Fatto, lacrimoso invoca Daniele Luttazzi. Si sente la mancanza dell’accomodante divano della Dandini. C’è Crozza che fa per tre, lavora ormai come un giapponese, tra poco Cairo lo costringe pure al segnale orario – e che Dio sempre gli conservi il senatore Razzi, l’Abruzzo e la Corea del nord. Sull’attoriale pure la fenomenale Paola Cortellesi. Insomma, c’è quasi un’aria tra la dismissione e la cena dei vecchi compagni di scuola (vent’anni dopo): “Vi ricordate di quella di matematica?”. “Vi ricordate le seghe che ci facevamo al cesso?”. Si è sperimentato Rocco Papaleo persino per serate tutte sue. Si fanno attendere Ficarra & Picone. E Zalone, perso tra i trulli? Chi si fa un film (ciao, core). Chi si fa un partito. Chi si fa Rosina. Qualcuno si farà buddista. Nemmeno un’ospitata sul palco di Grillo – ah, i vili! “Madonna, che silenzio c’è stasera”, come quel vecchio film con Francesco Nuti. Du’ palle, ragazzi! Che si fa? Ma quando torna quello là? “Ci manca Berlusconi…” – ecco. Una petizione, si potrebbe fare una petizione, come quella che fecero i meglio americani contro l’arresto “dell’artista da cabaret Lenny Bruce”: “Fuori Silvio da Cesano Boscone!”. “Annamo cor movimento ‘Sì Cav!’”. “Quella era vita! Mettevi la fica, la piddue e li sordi, e la serata era svortata…”. Altrimenti… “Io c’ho pronto un monologo sulla Madia”. “Cazzo, bella idea!”. “Due minuti e ventisei secondi…”. “So’ tanti…”. “Semo tanti…”. “Du’ palle…”. “Sai che diceva Lenny…”. “Chi?”. “Bruce…”. “Aho, che è stato a ‘Zelig’, mortacci sua? Chi conosce? Lo conosco?”. “E’ morto”. “Famme da ’na toccata”. “Diceva, tra ’na cella e l’altra: ‘Io so’ stato influenzato da ogni minuto secondo che ho vissuto da sveglio’”. “Così diceva?”. “Così”. “Facile per lui, tanto è morto, mica sta sveglio”. “E pure questo è vero”. “Ma sarà mica porta sfiga?”. “Boh...”. “Aho, e se stasera facessimo er Lenny Bruce Show?”.
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