Due ministre se ne vanno e Abe teme per la sua tenuta da record
La guerra dell’opposizione al governo di Shinzo Abe è ormai ufficialmente iniziata e il suo rientro a Tokyo dopo il summit eurasiatico di Milano della scorsa settimana non è stato facile.
Roma. La guerra dell’opposizione al governo di Shinzo Abe è ormai ufficialmente iniziata e il suo rientro a Tokyo dopo il summit eurasiatico di Milano della scorsa settimana non è stato facile. Ieri due delle sue ministre – Yuko Obuchi e Midori Matsushima, rispettivamente ministro dell’Economia, del Commercio e dell’Industria e ministro della Giustizia – si sono dimesse a poche ore di distanza l’una dall’altra. Secondo il Partito democratico, avrebbero violato la legge sulle campagne e i fondi elettorali. Da una settimana almeno tre giornali – l’Asahi, il Mainichi Shimbun e il settimanale Shukan Shincho – si stavano concentrando sulla gestione dei fondi elettorali della Obuchi, che è figlia di Keizo Obuchi (ex primo ministro) e che con i suoi quarant’anni era, fino a ieri, il ministro più giovane dell’esecutivo Abe, oltre a essere stata indicata dalla stampa internazionale come la possibile prima donna a capo di un governo giapponese.
Secondo i giornali, però, tra il 2010 e il 2011 due gruppi elettorali che sostenevano Obuchi nella sua circoscrizione avrebbero speso circa 245 mila dollari per biglietti teatrali da regalare agli elettori. Inoltre Obuchi avrebbe speso, dal 2008 al 2013, almeno 34 mila dollari di fondi elettorali in un negozio di abbigliamento gestito da suo cognato e nel negozio di design della sorella. Poi ci sono le bottiglie di vino con la sua faccia disegnata sull’etichetta – ufficialmente vendute ma probabilmente anche regalate ai più affezionati sostenitori. E in Giappone la legge elettorale, soprattutto quella che riguarda la campagna elettorale, è molto restrittiva. Come scrive Andrea Ortolani, professore di Diritto all’Università Hitotsubashi di Tokyo, “il principio che disciplina i modi in cui è lecito condurre la campagna elettorale è che tutto ciò che non è esplicitamente permesso deve intendersi vietato. (…) Naturalmente è vietato offrire denaro o favori per ottenere il voto, e l’interpretazione è assai rigida. Offrire un bicchiere di tè o un biscotto, per non parlare di una cena, può portare all’arresto e al rinvio a giudizio del candidato. Nelle elezioni del 2009 vi sono stati 570 arresti per questo motivo”. E’ per alcuni uchiwa, ventaglietti con la sua faccia regalati durante una festa elettorale, che Midori Matsushima è stata costretta a dimettersi, anche se durante la conferenza stampa di ieri mentre diceva “di non aver violato la legge” era serena e sorridente, a differenza della collega Obuchi.
[**Video_box_2**]“Sono stato io a sceglierle, e quindi la responsabilità è tutta mia in quanto primo ministro. Per questo vorrei scusarmi profondamente con i cittadini”. Ieri, fuori dal Kantei, la sua residenza ufficiale, Abe ha dovuto inchinarsi davanti alla stampa per esprimere il suo dispiacere. Eppure alcuni osservatori hanno notato la velocità con cui il premier ha accettato le dimissioni delle sue ministre, e c’è un motivo. Nel 2007, durante il primo mandato da premier di Shinzo Abe, tre suoi ministri furono costretti alle dimissioni e un altro si suicidò per scandali legati ai fondi elettorali. “E’ una specie di incubo per Abe”, scriveva ieri Reiji Yoshida sul Japan Times, perché dopo quella serie di dimissioni e tragedie fu costretto a dimettersi, ufficialmente per “motivi di salute”. Secondo Yoshida nel dicembre 2012, alla seconda elezione, Abe e il suo capo dello staff Yoshihide Suga avevano usato molta cura nella scelta dei nomi dei ministri, evitando quelli che potessero avere qualcosa da nascondere. Per l’ultimo rimpasto, però, il controllo è stato meno efficace. Midori Matsushima e Yuko Obuchi erano state nominate da Abe soltanto un mese e mezzo fa. La Obuchi – quella più giovane e col profilo più politico – guidava il dicastero che, oltretutto, gestisce le attività nucleari, ma già da ieri sul sito ufficiale la sua biografia era irreperibile. Insieme alla Matsushima faceva parte della strategia del rimpasto di governo dei primi di settembre. A Tokyo serviva un’immagine giovane, fresca e soprattutto femminile per far passare agli elettori diversi provvedimenti poco popolari: l’aumento delle imposte sui consumi, la modifica dell’interpretazione pacifista della Costituzione, l’attenuazione del bando di vendita delle armi da parte del Giappone. E poi la Womenomics, la rivoluzione della forza lavoro femminile, celebrata sul Guardian anche da Cherie Blair, ma che in realtà veniva propugnata da un governo quasi esclusivamente maschile. Risultato? Nell’ultimo mese l’approvazione dell’esecutivo Abe era scesa di 6,8 punti, pur rimanendo al 48,1 per cento. Ora anche solo un’altra dimissione dall’esecutivo potrebbe far vacillare la tenuta da record, per la politica giapponese, del governo dell’Abenomics.
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