Il lieto fine (provvisorio) del Sinodo
I novatori radicali al palo. Il documento finale su matrimonio e antropologia sessuale è una analisi interessante e appassionata sulla famiglia disarticolata. Una polemica del cardinale Schoenborn.
Che vi devo dire? Ho scritto ieri che il Sinodo si era concluso con un documento che è “un significativo nulla di fatto”. Sbagliavo. Quando scrivevo era sabato sera. Avevo in ora tarda notizie “giornalistiche”, un’infarinata di superficialità, un correre al dunque fuori del contesto (è anche comprensibile). Il nulla di fatto riguardava in effetti i paragrafi del documento finale dedicati alla questione del sacramento negato ai divorziati risposati (è ingiusto? bisogna cambiare? introduciamo l’accettazione del divorzio nella chiesa?) e quelli sugli omosessuali (vanno amati e rispettati com’è ovvio oppure la cultura indifferente al genere, la gay culture, deve insegnare qualcosa anche alla chiesa di Cristo?). E’ così. Nulla di fatto. O meglio. Le pretese novatrici in materia di pastorale e di dottrina avanzate dalla chiesa di Germania (Kasper, Marx) e gli eccessi teologico-filosofici di monsignor Bruno Forte sono rimasti al palo. Bisogna approfondire, dice il documento, ed espunge espressioni hard di un certo buonismo modernista (anche il Papa ha parlato di tentazioni buoniste, progressiste e liberaliste) dal linguaggio sinodale, a parte le votazioni a maggioranza ristretta che rendono un po’ inerti quegli stessi paragrafi e di insufficiente legittimazione il loro contenuto. E allora in che cosa ho sbagliato? Bè, su questioni difficili, almeno in apparenza, ci si pensa ancora un anno, si rinvia al Sinodo ordinario e poi alla parola del vicario di Cristo e di Pietro, ma il documento è notevole, oserei dire che è in tutto cattolico oltre che cristiano, e letto anche con il complemento del bel discorso di chiusura di Francesco è un tentativo di rinnovare e spolverare gli aspetti invecchiati della predicazione sulla famiglia ma in continuità con la tradizione dottrinale e culturale del cattolicesimo, in aperta continuità con il beato Paolo VI, con san Giovanni Paolo II, con il Papa emerito Benedetto XVI. Mica male.
Il sempre più simpatico ma troppo adulato Francesco, che ho visto e ascoltato in piazza mentre beatificava Paolo VI la domenica mattina, dice che la chiesa non è un castello di vetro dall’interno del quale si giudica il mondo. Bella espressione, piena di carità evangelica e di un senso missionario che, dopo un’abdicazione o renuntiatio papale, il pontefice regnante intende infondere alla sua chiesa, in piena legittimità, mi pare. La crisi c’è, qualcosa bisogna fare, non è che hanno scelto per la prima volta un gesuita per girarsi i pollici e ribadire principi non negoziabili. Subito dopo il Papa ha giudicato gli interlocutori, e oltre a castigare i buonisti, se l’è presa con gli zelanti, con i tradizionalisti, con gli intellettualisti. Il mio amico Alessandro Gnocchi, che pubblichiamo all’interno in una pagina d’invettiva pura e adamantina, è un tradizionalista, e sul suo zelo non ci piove (basta leggere). Nel mio piccolissimo appartato spazio di laico e incredulo, diciamo così, mi riconosco invece nella classificazione di intellettualista, come da sentenza della casa di vetro giudicante. E la mia considerazione per il cristianesimo, bagaglio eminente e giogo leggero ma significativo della civiltà in cui mi riconosco senza fanatismi razionalisti, illuministi, scientisti e postmoderni, ecco, la mia considerazione, che non è senza appassionata curiosità e anche un po’ di devozione, mi porta ad essere contento, e parecchio, della provvisoria conclusione.
[**Video_box_2**]Cum Petro e sub Petro, i padri sinodali hanno trovato il modo di confermare il deposito della fede, la continuità pre e postconciliare di grandi idee sulla vocazione unitiva, procreativa e sacramentale del matrimonio (non c’è bisogno dell’aggettivo tradizionale, sarebbe una concessione ai volteggi del sindaco di Roma, mai così lontano dal suo vescovo). Non è poco. C’è uno sguardo nuovo, premuroso e autentico in sentimento e analisi, all’altezza della sociologia e dell’antropologia del tempo nostro, sulla dissoluzione diffusa della famiglia e sullo svuotamento dei suoi valori di chiesa domestica, uno sforzo per trovare vie di missione nel mondo senza farsi inchiodare fuori dalla porta dell’esistenza umana, e non è poco nemmeno quello. Ora, per essere giusti, i plauditori di Francesco rivoluzionario dovrebbero lamentarsi di questo esito, giudicarlo infausto dal punto di vista Lgbt e da molti altri punti di vista ideologicamente corretti, un esito che non si inchina al secolo e ai suoi dogmi, visto che la chiesa di dogmi ha i suoi ed è segno di differenza e di contraddizione felice anche per questo. Qualcuno sarà sincero. Ma gli ipocriti continueranno a banalizzare le cose, come hanno già principiato a fare, e diranno che le aperture sono in stand by, che Francesco realizzerà i loro sogni di un cattolicesimo a scomparsa, di una trasformazione secolarista del Vaticano II (assemblea spericolata ma pur sempre intitolata alla chiesa “una santa cattolica apostolica”, e direi anche romana), in premessa riformatrice di tipo protestante. A scorno dei perfidi conservatori. Ma tra noi e i protestanti, fratelli in umanità ma diversi et pour cause, c’è la Baviera di Ratzinger, la Polonia di san Giovanni Paolo II, la Brescia del beato Paolo VI, e forse anche l’Argentina di Bergoglio. Vedremo come va a finire.
Ps. Il cardinale Schoenborn, nostro interlocutore e pupillo da sempre, uno che avrei visto bene Papa, ha le sue idee novatrici sulla questione antropologica, quando si parli di famiglia e gay culture. Va bene. Dovrebbe però evitare di mettere il Foglio nel novero dei giornali che guardano la chiesa dal buco della serratura e enfatizzano le sue divisioni o delegittimano l’autorità del pontefice (il riferimento esplicito è a questo giornale e, ma senza citarlo esplicitamente, al libro di Socci, che ha avuto qui una dura stroncatura in prima pagina e ha goduto su Panorama e sul Foglio rosa del lunedì di una lettura più misurata ma non di identificazione da parte del direttore della testata). Mettiamola così, Eminenza Reverendissima l’Arcivescovo di Vienna: lei riconosce che molti ecclesiastici sono entrati in forte ansia per il Sinodo sull’antropologia del sesso e della famiglia, poi se la prende con l’aggressività pettegola dei media. Difendere il Papa è cosa virtuosa da parte di un domenicano intelligente come lei è. Ma con validi argomenti, è meglio. Io ho le mie idee alle quali non rinuncio, ma abbiamo pubblicato tutto il rapporto Kasper in esclusiva e prima mondiale, decine di interventi in suo favore, commenti novatori importanti e lucidi al lavoro sinodale, oltre a voci critiche e tradizionaliste. I giornali liberi e seri fanno così. In nome delle sue maniere aristocratiche, che apprezziamo, elabori meglio la sua posizione e ci legga con maggiore sistematicità e attenzione, caro Schoenborn. Grazie.
Il Foglio sportivo - in corpore sano