Matteo Renzi (foto LaPresse)

Malizie e trabocchetti

Renzi e il suo piano B. Perché il voto anticipato è diventato tentazione

Claudio Cerasa

L’intreccio (con opzioni) sulla legge elettorale, la tattica del premier e il termometro del consenso.

Roma. “E secondo te da Barbara D’Urso, su Canale 5, sulla rete del Cavaliere, sulla rete di Confalonieri, lui ci va così, per caso, solo per farsi un po’ di pubblicità? Apri gli occhi, su!”. Piazza Montecitorio, martedì ventuno ottobre, ore tredici e trenta. Il cronista incontra un famoso deputato del Pd, in passato molto influente e molto potente, e si ritrova improvvisamente, tra mille malizie, mille se e mille ma, ad approfondire un tema tutt’altro che secondario che potrebbe essere rubricato sotto una voce semplice: “La tentazione”. La tentazione di Renzi, il suo piano B, l’arma di fine mondo, coincide, ovviamente, con la parola “elezioni”. E attraverso la forza del presidente del Consiglio, i sondaggi mostruosi, il consenso in ascesa, l’alto gradimento non solo elettorale ma anche televisivo, il partito del voto, giorno dopo giorno, comincia a prendere forma, nella testa di Renzi. Le urne non sono la prima scelta del segretario, è vero, ma per la prima volta da quando Renzi è a Palazzo Chigi non sono un’opzione tenuta sul tavolo solo per provocare, sono un’ipotesi che fluttua nei pensieri di Renzi ogni volta che il Parlamento regala uno scherzo su un voto segreto (la Consulta) e ogni volta che una Commissione ostacola l’approvazione di una legge (ieri è stata la volta della giustizia). Un’ipotesi di cui Renzi parla con i suoi amici, i suoi collaboratori, i ragazzi di Palazzo Chigi, e che, paradossalmente, il premier prende in considerazione ogni volta che guarda a una voce politica alla quale tiene particolarmente: il consenso. Nell’universo renziano non ci sono certezze, il presidente agisce spesso senza chiedere pareri alle persone che gli sono vicine, d’istinto, con la pancia, giocando con la tattica, sì, ma sfruttando prima di tutto il suo naso.  Ma ciò che si può dire con poco  margine d’errore è che nell’entourage del presidente del Consiglio sull’ipotesi si è cominciato a ragionare.

 

Si fanno calcoli, si incrociano i dati, si valutano le possibilità, i “perché no” (perché non si dovrebbe votare) spesso finiscono in minoranza rispetto ai “perché sì” (perché si dovrebbe votare) e la certezza, se di certezza si può parlare, è che quando ci sarà una nuova legge elettorale la tentazione di andare a votare sarà più alta di oggi. Sulla legge elettorale, ovviamente, ci sono molti campi da considerare. L’Italicum, come si sa, è approvato alla Camera ma è bloccato al Senato e anche quando sarà approvato a Palazzo Madama, in teoria, non sarà pienamente in vigore finché non verrà approvata la riforma del Senato. Diciamo “in teoria” perché è così che recita un emendamento (il numero 2.3) voluto dalla minoranza del Pd e da Ncd. Ma la teoria potrebbe essere rottamata dalla pratica perché Renzi, qualora volesse andare a votare con l’Italicum, potrebbe presentare un contro emendamento per superare quello precedente, a Palazzo Chigi hanno già ragionato sull’ipotesi). Razionalmente, a pensarci bene, Berlusconi avrebbe tutto il vantaggio a sabotare una legge come l’Italicum (premio di maggioranza ed eventuale ballottaggio) che sembra essere tracciata apposta per far vincere le elezioni al partito più forte, e andare a votare con un sistema come quello disegnato dalla Consulta (proporzionale puro con altissimi sbarramenti) che nella prossima legislatura metterebbe i due Nazareni di fronte alla necessità di allearsi per far nascere un governo (salvo che Renzi non ottenga con il Consultellum il 51 per cento dei consensi, cosa che di questi tempi non è da escludere, e lo stesso presidente del Consiglio lascia intendere di credere quando con i giornali amici fa spin sul suo Pd che – oplà – potrebbe arrivare anche al 51 per cento). Se però il Cavaliere ancora non molla il presidente del Consiglio su questo terreno, è perché qualcuno gli ha fatto credere che, in caso di strappo, Renzi sarebbe pronto a fare una legge elettorale con il movimento 5 stelle (l’odiato Mattarellum, che storicamente, per molte ragioni, penalizza il centrodestra).

 

[**Video_box_2**]Come si vede è tutto un gran pasticcio. Sicurezze non ci sono (anche se i renziani dicono: “L’unica certezza è che non sarà Napolitano a nominare il prossimo governo”, ma chissà). Renzi, come un tempo Berlusconi, è un mago nell’arte dello smentire se stesso senza dare l’impressione di mentire (e chissà che anche il Cav., che ieri ha detto al Tg5 di avere anche lui una strategia di partito unico nel centrodestra, non abbia voglia di tornare a votare presto, e rottamare del tutto Alfano). I renziani sanno che non c’è mai stato nella storia recente della repubblica un premier capace di non far apparire un flop la caduta del proprio governo. Ma sanno anche un’altra cosa. E il ragionamento è lineare: fino a che Renzi avrà grande consenso, le elezioni sono lontane. Una volta che il consenso di Renzi dovesse cominciare a rischiare, complice magari un’economia che non riparte, le elezioni si avvicinerebbero. E’ la regola aurea del renzismo. E il futuro del partito del voto, anche nel Pd, se volete comincia proprio da qui.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.