Christophe de Margerie (foto LaPresse)

Tempesta perfetta in un barile

Marco Valerio Lo Prete

De Margerie, n. 1 del colosso Total, muore a Mosca in un incidente (da chiarire). Ma lo choc petrolifero è sistemico, segnala il prezzo in calo dell’oro nero. Tra stagnazione, sovrapproduzione e diplomazia bloccata.

Roma. L’aereo su cui viaggiava Christophe de Margerie, amministratore delegato del colosso petrolifero francese Total, si è scontrato lunedì sera con una vettura spazzaneve sulle piste dell’aeroporto Vnukovo di Mosca. E’ morto così “Big Moustache”, com’era chiamato per i suoi baffi vistosi il manager transalpino discendente della famiglia dello champagne Taittinger, e in poche ore tutto l’establishment francese – dal presidente François Hollande all’esecutivo di Parigi, passando per industriali e sindacalisti – ha espresso le condoglianze per “un grande capitano d’industria e un patriota” (parole del primo ministro Manuel Valls). L’autista russo dello spazzaneve invece è illeso; si è detto fosse ubriaco, ma l’avvocato ha smentito. L’inchiesta giudiziaria è aperta, mentre ieri c’era già chi (maliziosamente) ricordava le prese di posizione più discusse del manager, gran sostenitore in queste settimane di un riavvicinamento tra Russia ed Europa (“un amico del nostro paese”, lo ha definito ieri Putin) e apertamente scettico sull’idea che tutti gli scambi di oro nero andassero regolati in dollari statunitensi.

 

Lo choc per Total, sesta società del settore Oil & Gas del pianeta per capitalizzazione di Borsa (prima è l’americana ExxonMobil, undicesima l’italiana Eni), è assicurato. E si inserisce perdipiù in uno scenario di sistemica e prolungata alterazione del settore energetico globale. La spia più evidente la fornisce il prezzo del petrolio, ieri in lieve risalita sopra gli 83 dollari al barile, ma comunque in calo addirittura del 25 per cento dal giugno scorso quando era a 115 dollari. Una discesa così rapida non si vedeva da tempo, ha scritto l’Economist chiedendosi se i prezzi al ribasso “riflettano una domanda debole o siano stati causati da un’impennata dell’offerta di greggio”. La prima ipotesi sarebbe allarmante, essendo l’ennesima conferma di una crescita globale anemica. La seconda ipotesi sarebbe invece benaugurante: il petrolio a buon mercato puntellerà la ripresa. Fornire una risposta univoca, però, è azzardato. Per dirla con Nick Butler, analista del think tank inglese Omfif, “l’offerta in eccesso continua a inseguire una domanda statica”. Sul fronte dell’offerta rampante, si posizionano per esempio gli analisti che descrivono una corsa negli ultimi anni all’esplorazione e allo sviluppo di giacimenti, sull’onda delle elevate quotazioni del greggio (arrivato anche a 150 dollari al barile nel 2008). Oggi di petrolio pronto per essere venduto ce ne sarebbe in abbondanza, perfino troppo. Su questa linea si posizionano anche quanti – come il Wall Street Journal di ieri – sottolineano il boom negli Stati Uniti dello shale gas e dello shale oil, cioè il gas e il petrolio ottenuti da scisti bituminosi. Prezzi del gas e del petrolio scendono in tandem, garantendo un toccasana alla manifattura a stelle e strisce. Infine l’offerta non scende perché la diplomazia dell’Opec, cioè del cartello degli storici paesi produttori che esordì sul palco della geopolitica planetaria con l’embargo petrolifero del 1973, è apparentemente ingolfata. Se anche l’Arabia Saudita, da sola, tagliasse la sua produzione, ciò non sarebbe sufficiente a invertire la rotta del prezzo. Così, nell’attesa che Riad costruisca un’alleanza sufficientemente robusta, il calo continua.

 

[**Video_box_2**]Poi c’è il fattore “domanda statica”. Il Fondo monetario internazionale ha appena limato al ribasso le stime della crescita globale: al 3,3 per cento per quest’anno (dal 3,4 previsto ad aprile) e al 3,8 per il 2015 (da 4). In termini di idrocarburi, secondo l’Agenzia internazionale per l’energia, vuol dire che quest’anno la domanda mondiale sarà di 700 mila barili di petrolio al giorno e non più di 900 mila come si stimava quest’estate. In definitiva, secondo l’analista di Société Générale Michael Wittner, siamo in mezzo a “una tempesta perfetta”. E se i paesi produttori si muovono ancora in ordine sparso – tra un’Arabia Saudita che per ora resiste e una Russia che all’instabilità delle relazioni con l’Europa somma una perdita di gettito fiscale – per gli acquirenti non si mette meglio. Specie per quelli in stagnazione, come l’Eurozona. Al punto che, per gli economisti di Barclays, in Europa l’effetto deflattivo sui prezzi dello “sconto” energetico prevarrebbe su quello propulsivo per la crescita. Rendendo così più urgente una politica monetaria fortemente espansiva da parte della Banca centrale europea di Mario Draghi.

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