Corrado Passera (foto LaPresse)

Intervista all'ex ministro

Passera: “Io non bevo il bluff di Matteo”

Marco Valerio Lo Prete

“La politica più vecchia e deteriore travestita da rottamazione”, “pizzicotti invece che riforme”, “populismo” in abbondanza e “troppa foga di correre alle elezioni”. Visto da Corrado Passera, l’operato del presidente del Consiglio, Matteo Renzi, non è proprio un belvedere.

Roma. “La politica più vecchia e deteriore travestita da rottamazione”, “pizzicotti invece che riforme”, “populismo” in abbondanza e “troppa foga di correre alle elezioni”. Visto da Corrado Passera, l’operato del presidente del Consiglio, Matteo Renzi, non è proprio un belvedere. Già Ceo di Intesa Sanpaolo, prim’ancora amministratore delegato del gruppo Olivetti e poi di Poste, laureato in Bocconi e svezzato alla McKinsey, dopo un passaggio da tecnico nel governo Monti tra 2011 e 2012, Passera oggi rivendica le mani libere che gli servono ad allestire “un cantiere politico”. E dalle parole di un uomo che fu d’establishment, ma che oggi fa politica da extraparlamentare, emerge un anti renzismo ab imis e perfino genuino.

 

L’Unione europea che accetta di trattare con Roma sulla legge di stabilità, evitando una bocciatura sonora anche a fronte di un maggiore deficit che Roma si concede, non è almeno questo un cambiamento? “La flessibilità già c’era nei trattati, e infatti la stiamo usando – dice Passera al Foglio – Ma intanto abbiamo totalmente sprecato il semestre italiano di presidenza dell’Ue. E’ passato senza che nessuno se ne accorgesse. Noi non abbiamo acquisito credibilità attraverso vere riforme, e inoltre a Bruxelles non sono circolate proposte all’altezza di un paese fondatore”. Del tipo “1.000 miliardi di investimenti da finanziare con gli Eurobond”.

 

Il debito in comune, a dire il vero, sembra un argomento fuori dagli attuali orizzonti brussellesi. Ma per il fondatore del movimento Italia Unica, anche questo è un problema che origina in Italia, in un paese che “sta facendo tutt’altro che invertire la rotta”. E’ sulla politica economica del governo Renzi che l’ex banchiere si accalora e si appassiona di più, al punto di smentire a volte quell’aplomb e quel distacco che connotano le sue apparizioni televisive: “Più spesa pubblica, più tasse, meno investimenti. Questo è stato il contributo della politica all’economia italiana negli ultimi decenni. E il governo Renzi è in perfetta continuità con tutto ciò. Così la strada è quella del continuo avvitamento del paese. Quella del disastro”. Meno Irap, meno contributi per le assunzioni a tempo indeterminato, 80 euro per i redditi più bassi. Qualcosa c’è. “Scherziamo? Ci vogliamo bere delle semplici slide? Io guardo il Def e quel che finora si sa della legge di stabilità, e vedo: 46 miliardi di spesa pubblica in più nel giro di quattro anni, 72 miliardi di tasse in più nei prossimi anni, investimenti pubblici ridotti a 25 miliardi su una spesa complessiva di 800”. Sull’Irap, “si torna indietro sul taglio dell’aliquota di qualche mese fa e quindi in realtà per il 2015 l’alleggerimento è di soli 3 miliardi. Sui 35 totali di quest’imposta infausta. Non basterà a cambiare l’umore degli imprenditori”. Sugli 80 euro “si tratta solo della riproposizione di una misura già approvata”. La decontribuzione c’è, “ma non è strutturale e, probabilmente, con tanti limiti nel suo utilizzo”. Passera contesta l’aggravio di balzelli, molto meno strombazzato nelle slide del presidente del Consiglio. Cita in rapida sequenza “le maggiori tasse sulle partite Iva che guadagnano meno di 30 mila euro, almeno stando alle bozze che sono l’unica cosa che ci è consentito giudicare a oltre una settimana dall’approvazione della legge di stabilità. Poi l’inasprimento fiscale sui fondi pensione che si aggiunge a quello già accumulato sulle cosiddette ‘rendite finanziarie’, che in realtà sono i risparmi delle famiglie e i dividendi sudati dagli imprenditori. Infine la restituzione del tfr, che sono soldi dei lavoratori, concepita soltanto come una leva per raccogliere tasse con la maggiorazione delle aliquote. Mi scusi: ma sa quale impatto avranno tutte queste fantomatiche riforme, secondo gli stessi documenti del governo? Lo 0,1 per cento del pil nel 2015”. Il quadro descritto dall’ex manager è quello di una serie di “pizzicotti che non cambiano niente”, lontani anni luce dalle “modifiche strutturali” necessarie a instillare fiducia nei cittadini (“in 10 milioni hanno problemi di lavoro”) e negli investitori, inclusi quelli internazionali “che certo non si commuovono per uno sgravio di due anni o giù di lì”. Come se non bastasse il filotto di numeri impietosi, per Passera questa manovra nasconde due cose perfino peggiori. “Una voglia matta di andare al voto, perché altrimenti non si spiega la tattica di rinviare eventuali problemi di copertura a clausole di salvaguardia da 12-21 miliardi”. E poi “l’assenza di serietà” nell’affrontare il nodo della riduzione della spesa pubblica. 

 

[**Video_box_2**]Il taglio della spesa però, compresi i 4 miliardi in meno per le regioni, sta creando più di un malumore. Replica Passera: “Le sembra serio? Invece di toccare i gangli vitali di un sistema, obbligando a vendere le partecipate, unificando le regole della sanità, e imponendo i costi standard su 110 miliardi di trasferimenti, si dice solo ‘arrangiatevi’. Senza indicazioni precise, altro che spending review”. Segue l’insulto massimo per chi ha fatto del “cambiaverso” un marchio di fabbrica: “Siamo alla solita politica di tutti questi anni. Compro i voti con gli 80 euro e assumendo 140 mila insegnanti senza concorso”. Eppure c’è chi valuta positivamente almeno le innovazioni culturali di Renzi. “Ha svecchiato il Pd, ma questo poco importa al cittadino comune”. Ha rottamato la concertazione, e non è poco: “Io vi vedo una ferita alla pratica democratica – dice Passera ancora più grave in volto – In senso tecnico, è populismo. Una tecnica che vuole mettere in comunicazione diretta il leader e il popolo, facendo a meno dei corpi intermedi. E’ quello che aveva già tentato Berlusconi”. Anche Monti, a dire il vero. O forse preferisce l’estenuante concertazione in stile Prodi o Enrico Letta? “A volte in Italia siamo scaduti nel consociativismo. Ma concertare, senza accettare diritti di veto, è utile per prendere in considerazione interessi e bisogni confliggenti tra loro. La politica deve fare comunità, non può limitarsi alla comunicazione”. Senza lo strappo della Fiat di Marchionne sulla concertazione, oggi si parlerebbe meno di contratti aziendali: “Sacrosanto quello strappo sui contratti, anche se l’impatto delle scelte industriali di questa Fiat è terrificante per l’auto italiana. Io al governo ho negoziato la valorizzazione dei contratti aziendali e gli sgravi fiscali sui premi di produttività, e non ho atteso la firma della Cgil. Renzi però, nella Finanziaria, fa marcia indietro pure su questo, togliendo risorse per quegli sgravi”.

 

Nemmeno la retorica generazionale convince Passera, classe 1954: “Svecchiare è utile. Ma il merito non appartiene a nessuna età. Qui abbiamo l’uomo solo al comando che si circonda di giovani, scelti non con il criterio del merito ma con quello del ‘non mi devono fare ombra’. L’obiettivo è apparire come ‘il salvatore’. In Italia è già successo: con Giolitti, con Mussolini, con l’ultima Dc – non quella di don Sturzo o di De Gasperi che interloquiva con Einaudi – e con l’ultimo Berlusconi. E’ la politica più vecchia e deteriore, travestita da rottamazione”. C’è il rischio di passare per uno dei tanti “frenatori” delle riforme, dopo sindacati, industriali, burocrati… “Nel cantiere di Italia Unica è attorno a idee e proposte che intendiamo attrarre tanti elettori non di sinistra. O, meglio, tutti quelli cui questo Pd non va”, conclude Passera. Ci sarà anche Della Valle, per esempio? “Dopo la sua sfuriata in tv, non ne ho più saputo nulla”. E il suo amico Carlo De Benedetti, che su Renzi si è ricreduto in positivo? “Quando ci ho parlato, mi è sembrato un grande supporter di Renzi. Ma non mi interessa. Non faremo l’ennesimo partitino dell’establishment”.

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