Wikileaks a caccia di finanziamenti e Assange diventa un brand

Eugenio Cau

La faccia dell'attivista australiano sarà il marchio di Wikilicense, il servizio di “brand managing”, così si legge sul sito ufficiale, di gestione del brand dell'organizzazione, e che si affianca alla già esistente rivendita ufficiale di accessori.

Chi ama Julian Assange, il fondatore di Wikileaks, pensa a lui come a un martire e un eroe. Come l’uomo che ha aperto la strada all’èra dei whistleblower, che ha perseguito la trasparenza a ogni costo, e lo ha fatto a costo della sua libertà (Assange è rinchiuso da mesi dentro all’ambasciata dell’Ecuador a Londra, se uscisse sarebbe arrestato immediatamente) e della sua salute (dall’ambasciata forse uscirà, ha annunciato tempo fa, perché le sue condizioni stanno peggiorando). Chi è contrario ad Assange vede in lui l’uomo ossessionato dai segreti, che con Wikileaks ha messo in pericolo diplomazia e sicurezza di tutte le cancellerie del mondo, uno che ha rapporti poco chiari con governi di cui non ci si dovrebbe fidare e che negli anni ha sostenuto non dei whistleblower, ma dei traditori. Ma che si tratti di detrattori o sostenitori, è difficile immaginare l’austero e paranoico Assange distribuire magliette e tazze per la colazione con la propria faccia stampata sopra come se fosse una stelletta della televisione, una Jennifer Lopez qualsiasi.

 

Il paragone più sensato, in realtà, lo ha fatto Vanessa Friedman sul New York Times, ed è quello con la foto celebre di Che Guevara scattata da Alberto Korda e usata da Fidal Castro per propagandare l’immagine del regime cubano fino a farla finire sulle coppe dei bikini o sui pacchetti di sigarette. Assange vuole fare lo stesso con la sua faccia e con il marchio di Wikileaks, con la differenza che questa volta non ci sarà un Fidel a fare da tramite nella diffusione dell’immagine di un’eroe deceduto. Assange è vivo e la licenza per diffondere la sua immagine la gestisce da sé, attraverso un servizio, Wikilicense, inaugurato poco tempo fa.

 

Wikilicense è un servizio di “brand managing”, così si legge sul sito ufficiale, di gestione del brand di Assange e di Wikileaks, e si affianca alla già esistente rivendita ufficiale di accessori, dove è possibile acquistare una cover per iPhone 5S con la faccia di Julian alla cifra modica di 21 dollari. Già parlare di Assange, del grande ribelle di questi anni, come di un “brand” fa sussultare i suoi sostenitori. La commercializzazione di un brand, ricorda Friedman, è un elemento chiave della cultura capitalista e di establishment di cui Assange dovrebbe essere il più fiero oppositore. Ma Assange fa esattamente questo, commercializza il proprio brand. Wikilicense si occupa di cedere, dietro compenso, i diritti per la vendita di magliette, scarpe, accessori con il logo di Wikileaks o il volto di Assange. Le motivazioni sono nobili (sostenere e promuovere l’attività dell’organizzazione, dicono), ma vedere la faccia di Assange su un paio di ballerine o su una chiavetta usb farà un effetto strano a molti seguaci.

 

[**Video_box_2**]Il fatto è che Wikileaks ha bisogno di soldi. Le donazioni, che durante il caso di Edward Snowden e della Nsa arrivavano a 1000 euro al giorno, secondo Bloomberg sono diminuite di dieci volte, anche a causa del boicottaggio dei governi, e Wikileaks rischia di vedere le sue operazioni compromesse. Così Assange ha stretto accordi con un’azienda di gestione del brand islandese, Just Licensing, e ha messo Olafur Vignir Sigurvinsson, l’uomo che avrebbe gestito la fuga di Snowden dalla base Nsa delle Hawaii fino a Hong Kong e poi a Mosca, a capo di Wikilicense.

 

“Commodify your dissent”, trasforma la tua ribellione in una commodity e in un prodotto da vendere, dicevano Thomas Frank e Matt Weiland in un libro del 1997 in cui spiegavano come la retorica della rivoluzione sia diventata un’altra arma del consumismo. Assange, il ribelle antisistema, gestisce oculatamente l’immagine del suo volto con una compagnia specializzata e agenti in tutto il mondo. Dicono che è un martire, ma certo sa organizzarsi.

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  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.