Com'è nata quella mitologica figura che si cela dietro al nome di antistato
L’opera dei pupi è cancellata, con grande disappunto dei pupari e di chi era già pronto ad applaudirli. Rinaldo non duellerà con Rodomonte, Napolitano non dovrà incrociare le spade con Riina. Era tutto sceneggiato con minuzia, per il debutto nel teatrino del Quirinale.
L’opera dei pupi è cancellata, con grande disappunto dei pupari e di chi era già pronto ad applaudirli. Rinaldo non duellerà con Rodomonte, Napolitano non dovrà incrociare le spade con Riina. Era tutto sceneggiato con minuzia, per il debutto nel teatrino del Quirinale: cuntami ’u cuntu della trattativa, non già tra i paladini di Carlomagno e i saraceni, ma tra lo stato e la mafia. O meglio, come suggerivano i professionisti dell’allegoria, tra il capo dello stato e il capo dell’antistato. Ma che cos’è l’antistato? Confesso di non raccapezzarmici. La parola ronza spesso nel dibattito pubblico, e vedo che ha una storia secolare: a frugare negli annali la si trova riferita ai partiti rivoluzionari, ai gruppi anarchici, al crimine organizzato, alle associazioni segrete; la si potrebbe inseguire fino ai primi anni venti, quando la usarono, con intendimenti opposti, Benito Mussolini e Lelio Basso.
Ma è meglio partire da cose più vicine: la conferenza del 1988 in cui l’allora capo della polizia Vincenzo Parisi parlò della mafia come di “un universo criminoso che ben può esser definito ‘antistato’” (formula che piaceva poco a Falcone) e, ancor prima, gli articoli di Norberto Bobbio sulla Stampa scritti a margine delle rivelazioni sulla P2. Uno di essi, “Il potere in maschera”, aveva una chiusa fiammeggiante: “Non ci possono essere due stati. Lo stato italiano è uno solo, quello della Costituzione repubblicana. Al di fuori non c’è che l’antistato che dev’essere abbattuto”. Curiosamente, Bobbio prendeva spunto dalla relazione di minoranza del radicale Massimo Teodori sulla P2, dove si contestava proprio lo schema cospiratorio della “doppia piramide” proposto da Tina Anselmi. Ma queste sono dispute politologiche, e non c’è disputa politologica che possa animare un’opera dei pupi.
[**Video_box_2**]Il fatto è che intorno al processo sulla trattativa, muovendo da queste fonti serie, la nozione ha preso via via una strana piega mitologica e teologica, e capita di sentir parlare dell’antistato annidato nello stato negli stessi termini con cui i lefebvriani parlano dell’Anticristo insediato nel Vaticano. Quella che era una categoria descrittiva, sotto cui far ricadere fenomeni distinti ma accomunati dall’ostilità verso lo stato, è stata trasformata in una grande alleanza invisibile, in un mostro proteiforme, in un’idra che ha per teste la mafia, i servizi deviati, l’eversione nera, la massoneria, e che tiene in ostaggio lo stato fin dalla sua fondazione.
Molti sono i testi che si potrebbero citare per illustrare la formazione di questa prodigiosa creatura, dalle visioni profetiche di Barbara Spinelli alle elucubrazioni di Roberto Scarpinato. Ma lo spazio basta appena a menzionare il documento più impressionante, in cui tutte le categorie storico-politiche sono trasfigurate in categorie mitologico-millenaristiche. E’ un libro di Sandra Bonsanti, “Il gioco grande del potere”. L’intera storia repubblicana è qui il campo di battaglia tra lo Stato e l’Antistato. Gli angeli ribelli (gli uomini di Stato traditori) tramano per la vittoria del secondo. Solo “poche comunità, ma fedeli” di apostoli della Costituzione impediscono all’Antistato di trionfare: non praevalebunt. L’ultima pagina suona come una cosmogonia gnostica, o un testo apocalittico: “Dunque lo Stato è esistito e resiste oltre l’Antistato che è in lui. Per questo è ancora possibile, oggi, distinguere e credere. Pur sapendo che sono nati insieme, che probabilmente sono stati anche ‘una sola cosa’”. Nelle mani dei suoi eredi più ferventi Bobbio è diventato Norberto di Patmos, in attesa del processo di Giosafat. E’ un delirio, d’accordo, ma è di fantasie come queste che vivono i pupari. Sarà per il prossimo spettacolo.
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