Il video dello Stato islamico
Il reporter Cantlie riappare a Kobane, meno ostaggio di prima
“I vostri media vi mentono, qui i mujaheddin stanno vincendo”. Le differenze con i video precedenti.
Roma. John Cantlie è l’ostaggio inglese usato dallo Stato islamico in una serie di video di propaganda e ieri è riapparso sulla linea del fronte a Kobane, sul confine tra Siria e Turchia. Cantlie dice che non c’è nessun giornalista dei media occidentali nella piccola città che da un mese è contesa tra combattenti curdi e il gruppo di Abu Bakr al Baghdadi e che le uniche fonti – i comandanti del Pkk – stanno mentendo: in realtà i bombardamenti degli aerei americani e i “soldati per procura degli americani” (Cantlie dice “proxy troops”) non sono riusciti a resistere all’offensiva.
“Lo Stato islamico ha vinto la battaglia, i combattimenti qui sono quasi finiti”. I curdi liquidano il video come propaganda di guerra, ma un punto interessante è la trasformazione dell’ostaggio inglese. Appare vestito di nero e non più dentro la tuta arancione in stile Guantanamo dei sei video precedenti (e degli altri occidentali mostrati davanti alla telecamera e uccisi). Ha la barba più lunga e i baffi rasati secondo l’uso salafita, una corrente intransigente dell’islam, e ha perso quell’aria irrecuperabilmente occidentale che aveva conservato finora. Si sa che molti prigionieri occidentali si sono convertiti all’islam nelle celle dello Stato islamico, e si sa anche che i sei video di Cantlie sono stati girati quasi tutti assieme, ma è come se il giornalista inglese dopo due anni di prigionia durissima fosse diventato parte del gruppo che lo tiene prigioniero. Non è chiaro da quest’ultimo video quale sia il suo ruolo adesso – se è ancora obbligato o no – e in ogni caso non si può giudicare una persona nelle sue condizioni di prigioniero che sopporta un rischio costante per la sua vita.
[**Video_box_2**]La strategia di comunicazione dello Stato islamico mostra ancora una volta di essere sofisticata. I video statici con Cantlie protagonista non stavano suscitando alcuna reazione e non avevano quasi seguito, se non tra gli addetti ai lavori. Ora questa svolta riaccende l’attenzione. Il gruppo, come già a Falluja e nella battaglia di Tabqa, fa volare sulla città un piccolo drone con telecamera. Kobane è ormai una città fantasma, ma è anche diventata un simbolo a cui nessuna delle parti in lotta vuole rinunciare a nessun costo.
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