C’è bollito e bollito. Didier Drogba esulta all’Old Trafford dopo il gol del momentaneo 1-0 del Chelsea sullo United. Alle sue spalle i tifosi succhiano le caramelle sponsor di questa pagina (foto AP)

That win the best

Il solito maglia-maglia

Jack O'Malley

Balotelli la regala a Pepe, Van Persie all’arbitro. L’ultima prima volta di Drogba.

Londra. Non vorrei essere un tifoso del Manchester City in queste ore. Quando Robin van Persie ha scagliato in rete il pallone dell’1-1 definitivo al 94’ di United-Chelsea (con quel rumore di ferro che si sente quando la sfera colpisce la parte bassa della rete, roba da oratorio) i fan dei Citizens hanno guardato nell’abisso: esultare, perché così il Chelsea non sarebbe andato in fuga, o preoccuparsi, perché in vista del derby di questa settimana sarebbe stato meglio uno United moribondo? La squadra allenata da Van Gaal è dunque viva, quella di Mourinho probabilmente vincerà il campionato lo stesso (il ritorno al gol in Premier di Drogba di nuovo con la maglia del Chelsea è una cosa che fa bene al calcio, direbbero a “Stadio sprint”): la sua crescita è lampante, un anno fa lo Special One lasciò l’Old Trafford soddisfatto per l’1-1, domenica era incazzato come un minatore sotto il governo Thatcher. Era dal 2012 che i Red Devils non segnavano un gol decisivo a tempo scaduto, e senza scomodare il “Fergie time”, si può dire che quella rete al 94’ potrebbe essere la svolta della stagione. E chissenefrega se Van Persie si è beccato il secondo giallo per avere roteato la maglia come il martello di Thor dopo il gol. Lo United è ancora troppo lontano dalla vetta per impensierire qualcuno, e qui nel frattempo ci godiamo il secondo posto di un Southampton che probabilmente crollerà, ma ci divertirà a lungo. L’Arsenal intanto si appende alle chiappe di Sanchez, che ringrazia il Sunderland in versione calcio scommesse e insacca due regali clamorosi della difesa. Gary Lineker dice che la Premier sarà pure divertente ma nella Liga ci sono squadre più forti. Non sapevo che bevesse così tanto, ma considerandolo una persona intelligente sono andato a vedermi un po’ di sintesi di alcune partite del campionato spagnolo: stadi brutti e vuoti, tifo moscio, squadre per lo più inguardabili e zeppe di scarti, di altri campionati minori. Il fatto che Larrivey (ex Cagliari) sia un bomber oltre i Pirenei, e che Cerci (ex Torino)  giochi solo gli ultimi dieci minuti di partite già sul 4-0 dovrebbe far venire qualche dubbio. Poi se volete una volta parliamo di tutti i bolliti che la Premier ha fatto andare via a parametro zero e che riempiono l’11 titolare di alcune top team in serie A.

 

Baracche e baracconi. Appena mi sono ritrovato addosso inediti sentimenti di compassione per Mario Balotelli mi sono subito provato la febbre. Niente. Sono passato alla bottiglia di brandy per accertarmi che troppa sobrietà non mi avesse fatto male. Nulla, il sentimento è rimasto. L’immagine dei tifosi del Liverpool con la maglia dell’attaccante italiano che fanno la fila alla bancarella sotto la curva per scambiarla con quelle delle vecchie glorie di Anfield mi perseguita, e non certo per qualche obiezione al diritto di critica dei tifosi. Lo scambio di maglietta con Pepe durante l’intervallo dell’umiliante 3-0 madridista in Champions League, oltretutto in favore di telecamera, è grave, stupido, irriverente e offensivo: il calcio ha regole non scritte che i giocatori, chiamati a recitare una parte ben pagata per difendere i colori e le idee di chi è seduto sugli spalti, devono rispettare. Con un avversario, dopo la partita, ci puoi anche andare a letto, ma tra il fischio d’inizio e quello finale si è nemici. Si aggiunga che Balotelli non solo non segna, ma pascola in modo irritante per il campo da inizio stagione. Capisco e condivido i fischi, i buu, i tweet insofferenti, posso capire ma non condividere del tutto l’operazione dei tifosi del Liverpool. La maglia è un’altra cosa, evoca un senso di appartenenza immensamente più profondo del nome scritto sulle spalle, non la si insulta così, con leggerezza, così come non si brucia la bandiera di una nazione per manifestare le legittime critiche a certe scelte del governo. Scambiare la maglia di Balotelli significa affermare implicitamente che quella è innanzitutto la maglia di Balotelli, in seconda battuta quella del Liverpool. Che l’operazione sia una trovata pubblicitaria non fa che aggravare le cose. Desiderare le maglie con i numeri dall’1 all’11, senza nomi, non è roba da nostalgici del calcio del tempo che fu, è un atto di protesta interiore contro le idiozie del personalismo, le stesse pulsioni che hanno fatto di Balotelli un gigantesco fenomeno da baraccone. Mettendosi in fila per scambiare la maglia con quelle di Fowler o Owen, i tifosi del Liverpool non fanno che confermare la logica narcisista del balotellismo, altro che gesto di protesta.

 

Gemma Atkinson si mangia le unghie per la tensione davanti alla tv durante le ultime fasi di Manchester United-Chelsea. Profonda conoscitrice della Premier League, e in particolare di molti suoi giocatori, Gemma considera eccessiva l’espulsione di Van Persie. “Si è tolto la maglietta, e che sarà mai?”, ha detto

 

[**Video_box_2**]Blatte. Leggo che, dopo lo schiavismo, le morti degli operai, lo spostamento di stagione e le valigette piene di soldi che sarebbero transitate per gli uffici della Fifa, l’ultima notizia sui ridicoli Mondiali in Qatar nel 2022 è che si potrebbero giocare le partite a mezzanotte per non patire il caldo. Deduco a questo punto che qualunque puttanata sia ben accetta, pur di non impedire a Blatter di continuare a mangiare a sbafo. Allora perché non proporre di giocare le partite in ciabatte e accappatoio, o vestiti da emiri? Si potrebbe sostituire l’erba dei campi con della sabbia e trasformare il Mondiale in un grande torneo di beach soccer, oppure sostituire i tifosi dugli spalti con sagome cartonate, tutte con la faccia di Blatter, o far arbitrare le partite direttamente dalla moviola in campo.

 

Darci un taglio. La barba del centrocampista d’interdizione in Italia si sta trasformando in un luogo comune, un canone estetico troppo battuto, tanto che il vero gesto rivoluzionario sarebbe quello di radersi tutte le mattine. Non mi sfugge che siamo ormai da anni nell’epoca del ritorno globale della barba, e il calcio è una tana di fashion victim e cultori dello stravagante (Moscardelli docet), ma qui si sta legando esplicitamente la peluria incolta al ruolo dell’incontrista, il lavoratore oscuro che in mezzo al campo recupera palloni e miete malleoli con audacia guerriera. I vari Biondini, M’Vila, Gazzi, De Rossi e Nocerino sembrano godere parecchio del loro essere barbuti, forse sentendone un’eco di virilità, un’epica vichinga che gli risuona nelle orecchie quando fanno l’ennesima scivolata nel fango per fermare l’arrembaggio avversario. Imitano, almeno inconsciamente, il padre spirituale degli incontristi con la barba, che non è Enzo Bianchi ma Rino Gattuso, il quale però, prima di darsi allo sport degli esoneri in Sicilia e delle finte dimissioni a Cipro, sfoggiava il look trasandato/guerriero quando la barba non era ancora hipster.

 

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