In “Vita Leopolda” ci sono luci calde, mani di lady e neofiti spauriti
“Imbarazzante” secondo Rosy Bindi. “Una convention di Publitalia degli anni d’oro” secondo antipatizzanti nostalgici anni Ottanta; “come al Pitti” per la quantità di pashmine e revers sartoriali. In realtà questa Leopolda numero Cinque assomiglia più a Cortina InConTra.
Firenze. “Imbarazzante” secondo Rosy Bindi. “Una convention di Publitalia degli anni d’oro” secondo antipatizzanti nostalgici anni Ottanta; “come al Pitti” per la quantità di pashmine e revers sartoriali. In realtà questa Leopolda numero Cinque assomiglia più a Cortina InConTra, signore benvestite e jeunesse dorée fanno “un passaggio” come tra una discesa dalle Tofane e l’aperitivo al Posta. C’è anche un bel sole, nonostante il freddo del clima tipico fiorentino. Lo sport preferito, come a Cortina, è fingere d’essere habitués, e, simmetricamente, stanare i neofiti. “E’ la tua prima volta, vero?”, domandano impietosi leopoldisti della prima ora ad altri che tentano pateticamente di accreditarsi come veterani. La sindrome Calboni non perdona. C’è chi saluta tutti come il ragioniere fantozziano, “Buongiorno Contessa”, ma i leopoldisti della prima ora, di quando la Leopolda era di lotta e non di governo, non perdonano: “Non mi pare di averti visto nel 2011”, “l’anno scorso lei dov’era?”. Si accampano scuse: avevo la bambina malata, ero sul mar Rosso con un last minute, avevo un battesimo. I leopoldisti d’antan, come a Cortina gli iscritti a sci-club esclusivissimi tipo il “18”, fanno domande trabocchetto: “Ah, ci sono i tavoli, hai visto, proprio come due anni fa” (ma due anni fa in realtà non c’erano, sono stati introdotti l’anno scorso, ci si casca in tanti).
I tavoli: ognuno ha un tema, si va dalla difesa al cinema alla scuola alla fuga di cervelli. C’è un placement preciso, a seconda del glamour dell’argomento; in prima fila, sottopalco, tavolo 11 con Pietro Valsecchi, grande Gatsby della fiction italiana, e Fausto Brizzi, volto brizzolato del cinema anti-Mibac. Al 46, un po’ più indietro ma sempre in zona chic, sotto la navata sgarrupata-minimal della ex stazione fiorentina, Ivan Scalfarotto parla di fuga di cervelli con Marco Pierini, diciottenne corrente Emo per Matteo; al 49 Filippo di Robilant, storico e araldico portavoce di Emma Bonino, in tweed e velluti discute di medio oriente e nuovi califfati. Se fossimo al rifugio Faloria di Cortina saremmo in una onorevole seconda fila, sempre al sole. Molto più lontano dal palco, in penombra, il tavolo sulla difesa, e anziani con barbe bianche discutono di F-35 sotto luci fioche, sembra l’ufficio del Folagra, l’irriducibile che travia Fantozzi portandolo sulla brutta strada del comunismo.
Forse per ragioni di sicurezza si aggirano otto-nove sosia di Maria Elena Boschi, che come Saddam Hussein deve aver trovato delle figuranti col suo fisico e il suo stile. O forse il look rinascimental-Max Mara è diventato, come si dice, virale. Le simil-Boschi sono più giovani dell’originale, e danno molta soddisfazione ai tanti feticisti della ministra botticelliana: mentre lei per distinguersi sta in gonna e stivali.
Poi arriva Agnese: da sola, guidando il famoso monovolume grigio, senza scorta né finta né vera, parcheggia a lato della stazione, e poi ricompare dopo una ventina di minuti sotto le volte della Leopolda: ed è fichissima. Più magra, più alta, più nervosa, del canone di governo-Max Mara, fasciata in jeans strettissimi, riccio selvaggio, abbronzatura leggera, aria raggiante, sembra Letizia di Spagna dopo l’incoronazione del marito. Volendo rispolverare contrapposizioni italiche molto sessiste, nel paese del pensiero binario – Bartali/Coppi, Capuleti/Montecchi, Pci/Dc, Leopolda/Cgil – qui siamo naturalmente alla annosa sfida tra Barbara Bouchet ed Edwige Fenech per la champions ormonale italica, e da un lato le burrosità rinascimentali, di qua il riccio nero e lo zigomo inquieto, e insomma siamo diventati il paese che fa ministra la bionda, ma sposa la mora, e forse anche qui il cambiamento antropologico meriterebbe un suo hashtag dedicato.
[**Video_box_2**]In questo format squisitamente televisivo (c’è già pronto il titolo: “Vita Leopolda”, come in certe trasmissioni sociologiche di Italia 1), dove telecamere riprendono televisioni che inquadrano video che riprendono operatori che si selfano con ministre, anche le luci sono perfette. Luci calde da Bigazzi, una fotografia che valorizza gli incarnati più delicati. Ecco Marianna Madia al suo tavolo, con la sua faccia aristocratica e impassibile, seduta tutta dritta, sembra lady Lyndon al tavolo da gioco nel film di Stanley Kubrick, e in effetti questa Leopolda pare anche un casinò frequentato molto bene, prima dei tempi delle slot machine. Al suo tavolo di chemin de fer, lady Lyndon Madia tormenta le sue mani già famose tra gli amatori, tra improvvisi fremiti, piccoli tormenti, torsioncine come nel famoso saluto della regina Elisabetta svitando una lampadina immaginaria; però quello di lady Lyndon Madia è un movimento continuo, e nel frattempo tutto il resto del corpo resta immobile, tutta la vita passa per queste mani esangui, mobilissime.
Alle sue spalle, una gioventù in movimento: giovani in camicie Oxford, denti bianchissimi e profumi agrumati si aggirano, uno dice “ma ti ha chiamato poi la Fondazione Soros?”; un altro “sto qui fino alle due, poi ho prenotato il campo da tennis”. I neofiti soffrono. Il neorenziano ex Sel Gennaro Migliore, seduto al suo tavolo da chemin, regge il suo iPhone 6 enorme, forse gli pare un amuleto, un lasciapassare: come la medaglietta di Don Calogero Sedara al gran ballo del Gattopardo. Ognuno in definitiva fa quel che può per far parte, anche per un attimo, di questa Vita Leopolda.
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