Un sit in di protesta contro i licenziamenti dei dipendenti di Meridiana a Cagliari (foto LaPresse)

L'incredibile storia dei “licenziamenti di massa” in Meridiana

Alberto Brambilla

La compagnia sarda ha una zavorra di dipendenti ri-assunti dai giudici. Bando ai pianti (con effetti speciali).

Roma. Dal 15 ottobre scorso il comandante, Andrea Mascia, e l’assistente di volo, Alessandro Santocchini, sono accampati sulla punta di un traliccio dell’illuminazione alto trentacinque metri all’interno del perimetro dell’aeroporto di Olbia e lì resteranno finché avranno viveri: almeno cento giorni, dicono. La forma di protesta può apparire estrema, ma rappresenta in realtà una singolare reazione, di fronte a una situazione per molti versi paradossale. Meridiana, per la quale Mascia e Santocchini lavorano da vent’anni, è una compagnia sarda di piccolo e medio raggio tenuta in vita negli ultimi cinque anni da ripetute iniezioni di liquidità (350 milioni di euro) immesse dal fondo finanziario Akfed, di proprietà della guida spirituale della comunità dei musulmani ismaeliti, il principe Aga Khan, che la fondò nel 1963 col nome Alisarda. L’attuale management dice di avere a disposizione un anno e mezzo di tempo per rilanciare l’azienda, altrimenti fallirà. Il piano di ristrutturazione, approvato tre anni fa, prevede il taglio dei costi operativi del 20 per cento e passa dal licenziamento di circa mille dipendenti: 1.634 esuberi tra personale di volo, terra e manutenzione su 2.600 lavoratori totali.

 

L’attenzione mediatica è massima. Alcune testate nazionali descrivono la procedura di mobilità, comunicata lunedì al governo Renzi, come “il licenziamento di massa più grande che si ricordi in Italia” (sebbene si tratti appunto di messa in mobilità all’80 per cento dello stipendio per un massimo di cinque anni: significa che per un pilota e un assistente di volo sono garantiti rispettivamente fino a 8.000 e fino a 3.000 euro mensili a scalare in base all’età: cinque anni per i cinquantenni, quattro per i quarantenni e così via, attingendo al Fondo speciale del trasporto aereo alimentato quasi interamente da una tassa di tre euro su ogni biglietto, pagata da ogni passeggero in transito per gli aeroporti italiani). Eppure, da settimane centinaia di dipendenti manifestano a più riprese nelle piazze romane. Anche Papa Francesco ha parlato del caso dopo avere incontrato degli “esuberi Meridiana” in piazza San Pietro, facendo appello a “tutti i responsabili” affinché “nessuna famiglia resti senza lavoro”. In effetti si potrebbero additare come “responsabili” alcuni dei precedenti amministratori (sono cambiati quattro amministratori delegati in otto anni), colpevoli di sviste strategiche decisive; oppure qualche sindacalista (ci sono dieci sigle) più attento al suo distacco che all’altrui esubero. Tuttavia si può, più laicamente, descrivere Meridiana come una compagnia “frankenstein” frutto di plurime fusioni con altri vettori ballerini (Eurofly nel 2006, Air Italy nel 2011) che, contro ogni principio di efficienza economica, è stata zavorrata da un organico sovradimensionato rispetto alle esigenze e quindi da tempo fatica a competere con le più snelle e agguerrite compagnie low cost, che sono peraltro foraggiate dagli enti pubblici locali proprietari dei tanti piccoli aeroporti italiani.

 

L’ipertrofia occupazionale è in parte figlia dei contenziosi legali che hanno comportato assunzioni obbligatorie, imposte dall’autorità giudiziaria, come ha detto in un’intervista alla Stampa il presidente di Meridiana, Marco Rigotti: “Le assunzioni ordinate dai giudici hanno gonfiato gli organici a dismisura. Se non licenziamo chiudiamo domani. L’alternativa è trasformare Meridiana in una compagnia più piccola”. L’inghippo nasce quando Meridiana ed Euro fly si fondono dando vita al marchio Meridianafly nel 2006: l’operazione si concluderà nel 2010 e consentirà alla nuova compagnia di entrare nel settore charter di medio e lungo raggio. All’epoca alcuni dipendenti sono stati assunti con i contratti delle aziende di provenienza, risalenti ai primi anni Duemila. Contratti a tempo determinato e in massima parte di carattere stagionale, soprattutto per il personale proveniente da Eurofly. Nel 2010 con l’approvazione del disegno di legge “collegato lavoro”, convertito in legge nel 2011, molti hanno potuto approfittare della finestra temporale offerta per fare causa a Meridiana fly e impugnare il contratto originario pretendendo il reintegro, a prestazione ormai esaurita, oppure, a seconda dei casi, un risarcimento forfettario in denaro. Una platea di centinaia di persone – si parla di oltre 500 – assunte in prima battuta per due o tre stagioni, soprattutto assistenti di volo e in minima parte impiegati ai call center, hanno così chiesto e spesso ottenuto di tornare al posto di lavoro oppure, in alternativa o in aggiunta, di vedere ricostruita la carriera attraverso risarcimenti pecuniari. Per la società si è quindi determinato, da un lato, l’obbligo di tenere in pancia per gli ultimi quattro anni un numero di persone incoerente con le necessità e, dall’altro, l’obbligo di risarcire le controparti per un ammontare di circa 15 milioni di euro, a oggi. Senza contare che molti dipendenti riassunti hanno chiesto volontariamente la cassa integrazione straordinaria a zero ore con casi eclatanti e paradossali, benché limitati, di personale di volo e terra che dopo essere stato reintegrato ha fatto causa per continuare a beneficiare degli ammortizzatori sociali, come documentato da Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera del 28 settembre nel caso di due dipendenti. Resta comunque un’alea d’incertezza sulle cause pendenti, particolarmente numerose in Sardegna, e le forti differenze interpretative riguardo alle differenze retributive conseguenti alla ricostruzione della carriera e all’onnicomprensività del risarcimento forfettario. Un guazzabuglio che fa di Meridiana un’altra  storia italiana dove l’ipertutela giuridica del rapporto di lavoro frena la ristrutturazione di un’azienda in crisi.

 

[**Video_box_2**]Un organico sovradimensionato è stato per certi versi funzionale al mantenimento di una flotta altrettanto “gonfiata” e per di più male assortita, male utilizzata, in parte obsoleta e perciò oltremodo costosa. Basti dire che Meridiana utilizza tuttora dieci Md-82, i gloriosi “Mad Dog” della McDonnel Douglas, acquistati negli anni Ottanta: un modello d’antan, bireattore per il corto raggio, che la maggiore parte delle compagnie moderne non usa più o sta dismettendo in quanto – difetto capitale – consuma troppo carburante. Gli Md-82 sono gli unici aerei di proprietà di Meridiana fly mentre gli Airbus 320, i Boeing 737 e 767 – in tutto diciassette aeromobili – sono in affitto, ergo costano pure se restano fermi come spesso accade. Infatti Meridiana opera soprattutto sugli scali di Olbia, Cagliari, Napoli, Malpensa e Linate – dove le low cost (per ora) non la fanno da padrone – e ha un tasso di utilizzo degli aeroplani (in gergo: block hours) molto basso rispetto ai concorrenti: in un giorno un aereo viene “usato” in media 6,8 volte contro gli 11,8 di Ryanair, i 10,3 di EasyJet, i 9,9 del colosso tedesco Lufthansa. Il management punta a uniformare la flotta entro la fine del 2016 facendo uscire gradualmente vecchi modelli per mantenere in massima parte i Boeing 737. E’ un altro tassello di una drastica e complessiva riorganizzazione troppo a lungo rinviata, per ragioni di opportunità momentanee, ma oramai irrinunciabile per la compagnia che da quarant’anni fa volare la Sardegna.

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  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.