Il presidente del Pd, Matteo Orfini (foto LaPresse)

Orfini ci spiega come e quando Matteo Renzi è diventato di sinistra

Luciano Capone

“Il governo Renzi è di sinistra, più del governo Letta, su questo non c’è alcun dubbio”. A dirlo è il presidente del Partito democratico e da sempre avversario del segretario dem. “La verità è che siamo cambiati tutti, c’è stata un’evoluzione e una contaminazione positiva".

Roma. “Il governo Renzi è di sinistra, più del governo Letta, su questo non c’è alcun dubbio”. A dirlo è Matteo Orfini, presidente del Partito democratico e da sempre avversario di Matteo Renzi. I due salgono alla ribalta nazionale negli stessi mesi del 2010, Renzi organizza con Pippo Civati la Leopolda e Orfini con Stefano Fassina e altri lancia un manifesto che dà origine al movimento, infelicemente battezzato dalla stampa, dei “Giovani turchi”. Da allora le storie e i programmi di turchi e leopoldini si sono sovrapposti e incrociati: Renzi e Orfini sono premier-segretario e presidente del Pd, mentre Fassina e Civati sono dall’altro lato della barricata, in piazza con la Cgil e a un passo dalla scissione. Ma cosa c’è dell’analisi dei Giovani turchi nell’azione del governo Leopolda? “Noi davamo un giudizio ancora più radicale di Renzi sulle esperienze fallimentari dei governi di centrosinistra – dice Orfini – e, oltre agli interpreti, proponevamo un cambiamento delle politiche. Eravamo gli unici a parlare della fine delle politiche di austerità, di garantismo, dell’ingresso nel Partito socialista europeo”. Tutte cose che sono portate avanti da Matteo Renzi.

 

Insomma, parafrasando la locuzione oraziana sulla conquista romana della Grecia, pare di capire che i turchi, sconfitti con le primarie dai leopoldini, hanno conquistato i vincitori con le loro idee: “La verità – dice Orfini – è che siamo cambiati tutti, c’è stata un’evoluzione e una contaminazione positiva. Noi abbiamo capito la capacità di Renzi di cogliere l’innovazione nella società italiana, ma lui non è più quello che sposava le indicazioni della Bce e ripeteva ciò che diceva Zingales”. Il treno della Leopolda, una volta a trazione Ichino-Zingales, si è spostato sempre più verso sinistra: Renzi conduce il partito nel Pse superando polemiche decennali, colpisce come nessuno il risparmio alzando la tassazione sulle rendite finanziarie al 26 per cento (un livello inimmaginabile anche per Rifondazione comunista ai tempi dell’Ulivo), “mette un miliardo per assumere i precari della scuola – prosegue Orfini – con gli 80 euro fa un’operazione di pura redistribuzione della ricchezza, ritorna a una cultura garantista e chiude l’epoca dei tecnici”. Secondo Orfini la svolta a sinistra di Renzi è evidente soprattutto a livello europeo, dove per la prima volta vengono messe fortemente in discussione le politiche di austerità con una legge di stabilità espansiva, “a quelli che dicono che Renzi è in continuità con le politiche di Monti e Letta suggerirei l’acquisto di un paio di occhiali nuovo”.

 

[**Video_box_2**]Non mancano punti di dissenso con il premier su singoli provvedimenti e sul modello di partito, visto per ora solo come una proiezione del rapporto leaderistico tra il segretario e il consenso popolare, l’idea di un “partito Leopolda” come prosecuzione del “modello Lingotto” di veltroniana memoria. Ci sono dubbi e perplessità anche sul Jobs Act, ma molti angoli sono stati smussati e le reazioni di piazza sembrano esagerate: “Quando Monti ha corretto in modo più radicale l’articolo18 – ricorda Orfini – non ci fu una protesta di dimensioni simili né nel Pd né da parte del sindacato”. Nessuna piazza San Giovanni. Il perché di scontri tanto accesi nel partito e nella sinistra, il presidente del Pd lo spiega con gli strascichi delle lotte congressuali: “C’è stato un imbarbarimento nei rapporti personali di cui Renzi ha grosse responsabilità, ha condotto campagne violentissime ad personam che hanno lacerato la comunità del partito”. Ma Orfini non risparmia qualche stoccata agli ex compagni di avventura come Stefano Fassina: “Trovo assurdo che sia stato più facile sostenere un governo con Berlusconi che quello del proprio segretario, più facile fare servizi fotografici con Brunetta che riconoscersi in Padoan”.

 

Ce n’è anche per i sindacati che “legittimamente difendano l’articolo 18, ma se di fronte alle politiche di sinistra del governo la loro valutazione è ‘siete come la Thatcher!’, siamo di fronte a un falso ideologico”. Un giudizio che forse poteva essere evitato, anche per rispetto alla Thatcher che non può difendersi dall’accusa.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali