Euro 1, euro 2, euro 3
L’altro giorno arriva al Foglio un pezzo da novanta della finanza italiana e internazionale. Mi domanda che cosa pensi del destino dell’euro. Gli rispondo che non penso niente, tre anni fa pensavo kaputt, ora vedo più o meno che Draghi lo ha salvato. Non molto originale.
L’altro giorno arriva al Foglio un pezzo da novanta della finanza italiana e internazionale. Mi domanda che cosa pensi del destino dell’euro. Gli rispondo che non penso niente, tre anni fa pensavo kaputt, ora vedo più o meno che Draghi lo ha salvato. Non molto originale. Questo autorevolissimo interlocutore mi ha sorriso e mi ha detto quel che pensa lui: pensa che in un giro non poi così lungo di tempo la Germania si farà un euro-marco, è l’unica possibilità di futuro della moneta unica, il suo raddoppio. Ci ho pensato su, e con Marco Valerio Lo Prete abbiamo cominciato una campagna di ricerca e sviluppo del tema, a tormentone, chiamando in causa esperti, testimoni del mondo economico e politico. Oggi – lo dico a mo’ di guida alla lettura – la campagna raggiunge un suo culmine con la meravigliosa intervista a Allan Meltzer, un vecchio saggio, un insider, uno che dà giudizi tranchant sulle scemenze di Piketty senza tema di scorrettezza, uno che con gli Schäuble (Tesoro, Berlino) parla da anni.
Bene, l’intervista è una conferma. Di che cosa? Del fatto che, se non fosse possibile ai tedeschi generare una politica espansiva capace di rilanciare l’Europa periferica (Italia e Francia comprese); e se non fosse possibile per loro la mutualizzazione del debito, in una forma o nell’altra: allora dovrebbero scegliere un’altra strada. Un euro 1 che affianca un euro 2 per poi ricongiungere, dopo un ciclo flessibile di ricostituzione della competitività in Europa, il tutto in un euro 3. La base del fatto è un’alternanza di svalutazione e rivalutazione che, dopo il formidabile arricchimento dell’economia tedesca anche a spese delle rigidità insopportabili per altri della moneta unica, potrebbe essere considerata il male minore da una Germania in cui il voto egemonistico e nazionalista di Alternative Für Deutschland e altri movimenti rischia di pregiudicare l’equilibrio politico e istituzionale conseguito a venticinque anni dalla riunificazione. Detto in linguaggio politico il più chiaro possibile.
[**Video_box_2**]Prima del Trattato di Maastricht, e poi di Lisbona, l’idea delle due velocità era nel programma genetico della costruzione europea. Non è dunque questa grande novità. Ma una vecchia ipotesi di scuola che si sta facendo probabilmente più realistica di quanto non si pensi. Perché è una via d’uscita che potrebbe essere non altrettanto traumatica di nuove crisi di mercato finanziario, perché tutti i partner potrebbero trovare in questa effettiva flessibilità qualcosa di conveniente, perfino la Grecia vicina all’uscita dalla moneta unica in cui avanza Syriza, persino la Gran Bretagna esterna all’euro in grande sofferenza nell’Unione. E anche la Francia della Grandeur, che due conti se li deve fare e forse il totale depone a favore di una sua presenza tra i “minori” invece che di una sequela critica del fratello maggiore tedesco. Aggiungo che l’Europa prima comunitaria poi unionista e monetaria ha sempre proceduto così, per aggiustamenti sovranazionali e fasi di transizione attentamente vagliate ed equilibrate. Ne comincia un’altra? Forse.
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