La Città del Sole dei giornalisti amici di Snowden perde pezzi
Matt Taibbi lascia First Look, che doveva rovesciare governi e portare giustizia. Storia di una disillusione. Il fondatore di eBay Pierre Omidyar ha messo 250 milioni nell’impresa orientata alla trasparenza, ma il castigatore di Wall Street sentiva puzza di vecchio pure lì. L’arte del compromesso fra principi astratti e vita reale, e la ricerca disperata di un modello di business. Il caso New York Times.
New York. Matt Taibbi ha lasciato First Look Media prima ancora di avere scritto un solo articolo. Il grande bastonatore dei padroni di Wall Street, giornalista antisistema che sulle colonne di Rolling Stone ha descritto Goldman Sachs, e per estensione il settore finanziario, con l’immagine indelebile del “vampire squid” (immagine putroppo anche intraducibile, se non in latino: vampyroteuthis infernalis), il calamaro succhiasangue che attanaglia il volto dell’umanità intera. First Look non lo aveva assunto per selezionare foto di gattini. Pierre Omidyar, il visionario fondatore di eBay con una vena da puro attivista, ha investito 250 milioni di dollari per creare un impero a più strati di pubblicazioni contromano disegnate per sbugiardare i potenti e mettere in scacco le lobby di ogni forma e rango. L’universo di First Look è diventato la cassa di risonanza delle rivelazioni della talpa Edward Snowden, avendo soppiantato il Washington Post e le altre pubblicazioni mainstream che avevano iniziato a pubblicare le carte dell’ex contractor della Nsa. Una specie di Città del Sole del giornalismo con la schiena dritta, senza padroni né gruppi di pressione.
A Taibbi era stato affidato il compito di creare e dirigere Racket, giornale digitale che attraverso il suo sarcasmo abrasivo avrebbe esposto le malefatte dei padroni dell’universo. Voleva fare una versione finanziaria di Spy, il leggendario magazine satirico, ma qualcosa è andato storto nel rapporto con la proprietà e Taibbi è stato allontanato (si è dimesso, dice lui) prima ancora che Racket vedesse la luce. L’aspetto surreale di una querelle aziendale altrimenti ordinaria è nel modo con cui la dipartita è stata annunciata. La falange dei “libertari paranoici”, come li ha chiamati il giurista Cass Sunstein, che costituiscono l’ossatura di “The Intercept”, una delle varie province dell’impero, ha ricostruito la storia del deterioramento e della separazione di Taibbi da First Look con la stessa, pomposa esibizione di trasparenza che avrebbe usato per incastrare l’apparato d’intelligence dell’Amministrazione americana.
Il direttore John Cook, l’avvocato e attivista Glenn Greenwald, la regista Laura Poitras – il primo contatto accuratamente scelto da Snowden, che allora si firmava soltanto “Citizen 4” – e Jeremy Schaill hanno ricostruito i fatti, e dal pubblico lavaggio di panni sporchi viene fuori una vicenda che non è appena riducibile ai termini di una disputa aziendale, ma è il racconto della prematura decadenza della Città del Sole e dei suoi illuminati paladini della giustizia. L’impresa, spiegano, era stata costruita su due pilastri, uno giornalistico e l’altro organizzativo: “Primo, i giornalisti avrebbero goduto di assoluta libertà editoriale e indipendenza giornalistica. Secondo, la redazione non sarebbe stata sottoposta a rigide gerarchie ma piuttosto guidata dai giornalisti e dalle loro storie”. Epperò qualcosa è andato storto perché ben presto i manager della Città del Sole hanno capito che i paladini non erano immuni dalle pulsioni del tanto disprezzato giornalista mainstream (che nel linguaggio dei paranoici libertari è sinonimo di venduto) e i paladini hanno capito che i manager erano soltanto dei manager. Non erano i sacerdoti del culto del contropotere, ma amministratori guidati dal sacro fuoco della “bottom line”. Anche in questo rifugio dei liberi svelatori di verità scomode esiliati dal giornalismo corrivo c’erano ordini, blocchi delle assunzioni, orari da rispettare, persone a cui rispondere.
[**Video_box_2**]“La decisione – scrivono – di creare un nuovo modello editoriale ha dato adito a confusione, prospettive divergenti e aspettative mal riposte. Taibbi e gli altri giornalisti che sono arrivati a First Look credevano di unirsi a un’impresa autonoma e senza struttura. Quello che hanno trovato, invece, è stato un confuso insieme di regole, strutture, e sistemi imposti da Omidyar e altri manager”. Dalla scelta dei software alla divisione delle mansioni fino alle semplici regole di condotta in ufficio, tutto a Taibbi è sembrato terribilmente vecchio e polveroso, ottuso, tremendamente già visto. E così è parso anche ai suoi colleghi, i quali però sono soltanto collaboratori, dunque godono di una tale libertà che possono anche scrivere che il re è nudo sulla prima pagina della gazzetta del reame. Taibbi ha lasciato il reame prima ancora di cominciare, e l’impresa mediatica di Omidyar andrà avanti tranquillamente e senza pensieri, ma la sua è una storiella simbolica ed edificante per tutti gli spiriti snowdeniani che avevano creduto di poter costruire e abitare in una roccaforte della purezza giornalistica, dove tutti, dal direttore allo stagista, cooperano per la creazione di un mondo più equo e trasparente. Questa “band of brothers” del giornalismo d’assalto aveva molto confidato sulla bontà delle intenzioni e sull’applicazione di principi astratti come collante di un modello di business credibile, e le prime crepe si sono viste prima ancora di arrivare alla sostanza. Taibbi avrà un pessimo carattere come dicono e forse avrà anche fatto una scenata con toni sessisti a una sottoposta, ma non c’è stato modo a First Look di misurarsi con i contenuti. Tutto si è sgretolato prima, l’innocenza della Città del Sole s’è perduta.
Sotto la vicenda di Taibbi si scorge anche il tema disperatamente ricorrente della ricerca di un modello di business per i media. L’idea digitale di Omidyar è una delle strade che sta prendendo l’informazione alternativa alle pubblicazioni tradizionali. La poco incoraggiante trimestrale del New York Times rende l’idea di un settore che procede a tentoni per trovare la ricetta giusta. Il Times nell’ultimo trimestre ha perso 9 milioni di dollari, che in parte sono la conseguenza dei pacchetti che il giornale ha offerto ai dipendenti per lasciare volontariamente l’azienda ed evitare un doloroso round di licenziamenti. Il giornale cartaceo continua il suo rapido e costante declino, con una riduzione del 5,3 per cento della pubblicità su carta, in parte compensata da una crescita degli abbonati digitali. Nell’ultimo trimestre si sono abbonati al Times 44 mila utenti, portando il numero totale a 875 mila.
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