Il presidente della Banca del Giappone, Haruhiko Kuroda (foto Ap)

Sciabolata di Kuroda

Ugo Bertone

La Banca del Giappone torna a spargere denaro. Borse in giubilo. Alla festa manca solo Draghi. Nella staffetta tra la Banca giapponese e quella americana il governatore della Bce è solo con la deflazione.

Milano. “Faremo tutto quel che sarà necessario per centrare il nostro obiettivo di inflazione”. Haruhiko Kuroda, governatore della Banca centrale della patria del karaoke, non esita a ricorrere al “whatever it takes” lanciato a suo tempo, luglio 2012, da Mario Draghi prima di scendere in campo a protezione dell’euro, avviato al collasso. Non è del resto molto più allegra la situazione del Giappone di oggi, avamposto nella guerra contro la deflazione che si combatte un po’ a ogni latitudine, con alterna fortuna. La terapia dei tassi quasi a zero per stimolare consumi e investimenti si sta rivelando inefficace. All’ultima asta dei Bund tedeschi a 30 anni il mercato si è accontentato di un tasso dello 0,89 per cento, un valore infimo che non ha però convinto Angela Merkel ad avviare nuovi investimenti.

 

Intanto a Tokyo i prezzi, complice la caduta dei consumi dopo l’aumento dell’Iva e il crollo del petrolio, sono tornati a scendere all’uno per cento (il premier Shinzo Abe contava si attestassero al 2). Così ieri mattina, con una mossa rapida e imprevedibile, Kuroda ha annunciato l’aumento degli acquisti di titoli sul mercato da 50-70 a 80 mila miliardi di yen al mese, pari a 570 miliardi, più del doppio dei 250 miliardi che, secondo gli analisti, Draghi riuscirà a mettere in campo con il piano di acquisti di Abs (Asset backed securities) al via la prossima settimana. Non solo. Prima ancora che il comunicato della Bank of Japan piovesse tra i recinti elettronici della Borsa, schizzata su del 5 per cento in una seduta memorabile, il Nikkei Times dava la notizia che i vertici del Gpif, il più importante fondo pensione del pianeta (patrimonio di 864 miliardi, più del pil del Messico) hanno deciso di raddoppiare gli investimenti in azioni, dal 12 al 25 per cento del portafoglio. Intanto, mentre la Banca centrale di Tokyo prendeva tra non pochi contrasti (4 voti contrari su 9) le sue decisioni espansive, dando slancio a Wall Street e a tutte le Borse europee, a Bruxelles arrivava l’ennesima conferma dell’andamento piatto dell’inflazione nel Vecchio continente. L’inflazione europea è in lieve ripresa (lo 0,4 per cento annuo contro il precedente 0,3), ma molto sotto l’obiettivo statutario della Bce (vicino al 2 per cento).

 

[**Video_box_2**]La deflazione morde a ogni latitudine. Ma guai a giudicare la mossa giapponese alla stregua di un gesto disperato: l’azione di Tokyo arriva non a caso 48 ore dopo la decisione della Fed americana di cessare gli acquisti sul mercato col Quantitative easing. I 30 mila miliardi di yen in più promessi dalla Bank of Japan (BoJ) serviranno così a compensare i 15 miliardi di shopping in meno degli Stati Uniti che, dopo molte esitazioni, hanno deciso di fare un passo verso la normalità; forse sotto l’impulso di Stanley Fischer, il mitico vice di Janet Yellen già governatore della Banca d’Israele e maestro di quasi tutti i banchieri centrali in circolazione (Draghi compreso). Non è difficile prevedere che una fetta dei nuovi stimoli servirà a comprare T bond Usa con l’obiettivo di sostenere le quotazioni del dollaro a tutto vantaggio dell’export giapponese. Strategia che, prima o poi, dovrà essere imitata dalla Bce per assecondare la svalutazione dell’euro, l’arma più rapida ed efficace per dare ossigeno all’export e importare un po’ di inflazione. Proprio la Bce, l’unica tra le grandi Banche centrali che in questi anni ha contratto il proprio bilancio, è ora chiamata a muoversi nonostante i vincoli e i diktat che rendono la vita di Draghi ben più difficile di quella di Kuroda o di Yellen. C’è una qualche logica dietro l’apparente follia di un mondo innaffiato di denari che ristagnano senza produrre ricchezza o quasi ma che finora sono stati l’unica arma da opporre al mostro della deflazione. Dopo sei anni di lotta, il bilancio della Fed sfiora i 4.500 miliardi di dollari, pari al 25 per cento del pil, quattro volte tanto il 2007. La BoJ viaggia sui 290 mila miliardi di yen, ovvero il doppio circa di due anni fa. Lo stesso vale per la Bank of England e la Banca centrale cinese. Solo la Bce, targata Bundesbank, si è risparmiata. Per ora, almeno. Da lunedì, data d’avvio degli acquisti dei titoli Abs, potrebbe iniziare la marcia verso un Quantitative easing in salsa europea.