Zero a zero anche ieri 'sto Milan qui… La fine dell'attacco, cioè l'Italia
La difesa a oltranza non ha più corso: nel calcio, nel lavoro, nella politica, nel paese. E’ il tempo dello spettacolo quindi dell’attacco. Gli altri, quelli che non si può andare sempre avanti, sono i catenacciari del millennio, gente che vedrebbe fino alla nausea Italia-Olanda di Euro 2000.
Zero a zero anche ieri ’sto Milan qui, ’sto Rivera che ormai non mi segna più”, cantava Enzo Jannacci già qualche tempo fa. Accorato come noi perché oggi ancora gli attacchi fanno cilecca, non si segna, si finisce zero a zero, quando va bene uno a uno. Il Milan, che pure ha il miglior attacco del momento, ha pareggiato in modo casuale. Non ha segnato la Juve che ha perso tre volte per uno a zero. Non segna l’Inter, non è una novità ma pur sempre una brutta cosa. Non segna il Napoli che pure avrebbe di che. Non segna la Lazio. I due gol della Roma, a settanta minuti d’intervallo, sono sotto lo standard cui ci ha abituato. Qualche nota ottimistica viene dalla Viola. Le certezze vengono solo dal Cagliari di Zeman, magari non segna nemmeno lui ma non si può dire che non ci provi: Il Boemo divino ha un solo principio non negoziabile, segnare più del nemico, perciò i suoi vanno sempre all’attacco ventre a terra e petto in fuori, canone 4-3-3 molto largo con ali rapide e guizzanti, così un paio di settimane fa hanno sbancato San Siro.
E’ stato l’ultimo soprassalto dell’abbondanza. Da allora incombe la stitichezza. Non è solo il primo freddo, la fatica accumulata, la carne che comincia a frollare, le gambe che si appesantiscono a un quarto di percorso. C’è anche una sorta di regressione culturale, sappiamo di essere in mezzo al guado, non abbiamo ancora messo piede sull’altra sponda e alle prime difficoltà siamo assaliti dai dubbi. E se non fosse poi così vero che l’attacco totale è esteticamente ed eticamente superiore alla difesa intransigente? Se il segreto della vittoria stesse in un’arcigna, terribile partita di trincea?
Agli Europei del 2000, si gioca Italia-Olanda, chi vince va in finale. Noi si rimane in dieci a metà del primo tempo, loro provano a passare da tutte le parti, centro, fasce, tirano in porta decine di volte, colpiscono pali e traverse, hanno due calci di rigore a favore ma se li fanno parare dal nostro magico Toldo, anche i supplementari finiscono zero a zero, si va ai tiri dal dischetto e il nostro portiere fa di nuovo scintille. Praticamente non passiamo mai la metà campo ma vinciamo, un miracolo, l’Italia migliore, dissero, quella che dà il meglio di sé nella sofferenza. In finale ci facemmo battere dalla Francia. Così quella partita esaltante che i catenacciari di casa avrebbero voluto mostrare nelle scuole come esempio supremo di arte difensiva, non fu altro che congiunzione astrale sfavorevole agli arancioni e per gli azzurri una botta di culo per giunta inutile perché nell’Albo d’oro non c’è posto per i vice campioni.
[**Video_box_2**]La difesa a oltranza non ha più corso: nel calcio, nel lavoro, nella politica, nel paese. E’ il tempo dello spettacolo quindi dell’attacco. Gli altri, quelli che non si può andare sempre avanti, che ci serve una pausa di riflessione e la spavalderia è solo presunzione e arroganza, sono i catenacciari del millennio, gente che vedrebbe fino alla nausea la dannata partita di cui dovremmo piattamente scusarci con il popolo olandese. Ci vorrà tempo per cambiarci dentro, nella forma della mente. Quando abbiamo voluto essere aggressivi e siamo andati fuori per darle le abbiamo buscate di brutto. La sola guerra, vera, che abbiamo dignitosamente vinto l’abbiamo combattuta arroccati davanti a un fiume che bisognava difendere per non finire tutti accoppati e ancora oggi se ne mormora.
Perciò tutti all’attacco con fatalismo: senza paura che come nella filastrocca il cavallo possa perdere il chiodo e poi perdere il ferro e il generale possa perdere l’equilibrio e l’esercito la sua guida e il re perda la battaglia e pure la guerra. Se deve accadere accadrà, alla faccia del chiodo.
Il Foglio sportivo - in corpore sano