Dieci anni dopo l'assassinio di Theo Van Gogh l'Olanda fa ancora paura
Quel machete fece risvegliare i Paesi Bassi dall’indolenza compiacente in cui si erano rintanati. Ma durò poco. Il decimo anniversario di quel martirio multiculturale è passato all’insegna dello stordimento e dell’autocensura.
Roma. Dieci anni fa l’Olanda piombò nella paura. In Linnaeusstraat, un quartiere di Amsterdam, Mohammed Bouyeri tese un’imboscata a Theo van Gogh, regista e giornalista che amava definirsi “lo scemo del villaggio”. Davanti al caffè L’Olandese, quel giovane islamista sgozzò Van Gogh, dopo avergli appuntato una lettera al petto. Quel machete fece risvegliare i Paesi Bassi dall’indolenza compiacente in cui si erano rintanati. Ma durò poco. Il decimo anniversario di quel martirio multiculturale è passato all’insegna dello stordimento e dell’autocensura.
Diversi artisti, ha scritto ieri il New York Times, non parlano oggi dell’omicidio Van Gogh “per evitare di creare divisioni”. Tradotto: hanno paura. E chi non ne avrebbe? Non ha avuto paura la famosa pittrice olandese, Marlene Dumas, ammirata per le sue collezioni esposte alla Tate di Londra, al Centre Pompidou di Parigi e al Museo d’Arte Moderna di New York. In questi giorni al museo olandese Stedelijk, la Dumas ha esposto un ritratto dal titolo “Il vicino”. Si tratta dell’assassino di Van Gogh, Bouyeri. Nel presentare l’opera, la Dumas ha detto: “Sono sempre stata interessata a come ritrarre il criminale in termini di immagini. La gente dirà, ‘si vede che era l’assassino’. Io non lo credo. Quando ho visto una sua fotografia a colori ho visto questa morbidezza che mi ha ricordato alcune immagini di Gesù Cristo”.
Una sbornia ideologica presente anche nelle parole del sindaco di Amsterdam, Eberhard van der Laan, il quale ieri ha detto che a dieci anni dall’omicidio, “la città è più armoniosa e pacifica di quanto non fosse nel 2004”. Nel senso che nessuno osa più parlare di islam come faceva Theo van Gogh. Lo ha scritto sul quotidiano Elsevier anche Afshin Ellian, intellettuale dissidente iraniano esule in Olanda da vent’anni: “Bouyeri ha trascinato nella paura la società olandese, soprattutto accademici, opinionisti e politici”. Ayaan Hirsi Ali, l’indomabile coautrice del film “Submission” costato la vita a Van Gogh, ha da tempo lasciato l’Aia per gli Stati Uniti, mentre Geert Wilders, il cui nome era inciso sulla pancia di Van Gogh, vive dell’eredità tragica di quell’omicidio.
[**Video_box_2**]All’Oosterpark c’è stata una veglia di fronte alla scultura in acciaio dedicata a Van Gogh dall’artista Jeroen Henneman. Si intitola “De Schreeuw”, l’urlo. Ma è un grido che difficilmente si sente nella società. Il canale tv Rtl4 ha mandato in onda un’intervista a Lieuwe van Gogh, il figlio del regista. Npo2 ha trasmesso “2/11”, un film sceneggiato dagli amici di Van Gogh, Theodor Holman e Gijs van de Westelaken. Una pellicola che scade nel complottismo più insincero, ovvero l’idea che il regista fu vittima di macchinazioni della Cia. Dal carcere, Mohammed Bouyeri ringrazia gli enti di beneficenza islamici che lo sostengono da fuori: “Dovete sapere che non abbiamo provato alcun rimorso per le scelte che abbiamo compiuto e per il cammino che abbiamo scelto di intraprendere”, recita una sua lettera. “Mai per un solo istante in tutti questi anni”. Proliferano i suoi emuli. Come spiegava ieri un’inchiesta del Wall Street Journal, sono 140 i musulmani olandesi andati a combattere per lo Stato islamico. Prima di essere macellato, aggrappato a un cestino dei rifiuti, Theo van Gogh aveva implorato il suo assassino: “Possiamo parlarne?”. Ma possiamo davvero?
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