Attenti a Jill
Jill Abramson ama molto la sua nuova vita, quella in cui può dire che “Hillary Clinton sarebbe un ottimo presidente” senza dover giustificare l’opinione con un severo editoriale. Quando l’hanno cacciata dalla direzione del New York Times, la figlia l’ha immortalata con guantoni e sacco da boxe.
Jill Abramson ama molto la sua nuova vita, quella in cui può dire che “Hillary Clinton sarebbe un ottimo presidente” senza dover giustificare l’opinione con un severo editoriale. Quando l’hanno cacciata dalla direzione del New York Times – e lei, dall’alto della sua nuova vita, sottolinea “cacciata”, soprattutto per via delle lamentele sulla differenza di stipendio fra uomini e donne – la figlia l’ha immortalata con guantoni e sacco da boxe, più che un selfie una minacciosa dichiarazione d’intenti. Abramson ha trovato un alleato per combattere la sua nuova battaglia, Steve Brill, scrittore, giornalista e futurizzante imprenditore delle notizie con un curriculum fatto di ottimi successi e di fragorosi fallimenti.
In queste settimane stanno uscendo i primi dettagli della nuova avventura editoriale, che sarà un contenitore digitale di pezzi “più lunghi di un articolo ma più corti di un libro”, una versione estrema di quel longform journalism che sta ottenendo buoni risultati alla faccia di chi dice che in un mondo frammentato in tweet il lettore s’è irreversibilmente impigrito. Inchieste, storie e ampi ritratti saranno pubblicati a cadenza mensile, acquistabili con un abbonamento da 2,99 dollari al mese; la vera notizia riguarda però il compenso per gli autori. Abramson e Brill vanno dicendo che gli scrittori otterranno un anticipo attorno ai centomila dollari, una cifra che ha qualche cittadinanza giusto nel mondo dei romanzi concepiti e costruiti per diventare bestseller, non nell’universo in bolletta del giornalismo. E Abramson rilancia pure: se gli abbonamenti coprono le spese, l’autore riceverà anche una parte di profitti. Possibile? Forse sì, se ci sono quindici grossi investitori interessati, cinque dei quali sono già a uno stato avanzato della trattativa. Abramson per il momento non fa i nomi dei partner finanziari di quella che con un recondito piacere da understatement chiama soltanto “una start-up”.
[**Video_box_2**]Dalla guida del quotidiano più famoso e istituzionale del mondo, un potere a sé, con la sua tradizione e il suo pedigree, Abramson passa alla retorica liquida e orizzontale della start-up. L’hanno cacciata, dice, perché ha perso la battaglia per l’uguaglianza sul posto di lavoro, e ora vuole rifarsi con una nuova impresa che al centro mette il generoso compenso per il lavoro. Lo svolgimento della start-up si vedrà in corso d’opera – il lancio è previsto per la metà del prossimo anno – ma Brill ha spiegato che non necessariamente si tratterà di un brand editoriale a sé. Magari sarà uno strumento all’interno di una piattaforma esistente, seguendo l’idea che Brill ha sperimentato con successo quando ha venduto al Time una lunghissima inchiesta sulle spese sanitarie in America. Oppure sarà tutto diverso: è il bello di avere una nuova vita.
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